Il solitario Monte Canino, elemento iconico della Maremma Viterbese, emerge sullo sfondo di grandi distese che spesso ricalcano antichi latifondi. Qui siamo nei pressi di Musignano, con il suo castello che fu dimora di Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone e signore di queste terre.
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Sguardo autunnale sulla Valle del Farfa

Uno sguardo autunnale, nei pressi di Frasso Sabino, sulla bellissima Valle del Farfa, con il suo dolce ed antico paesaggio collinare caratterizzato dalla coltura dell’olivo.
Sulla strada del Vino della Teverina
Uno scorcio di pieno autunno sulla Strada dei Vini della Teverina…
Vigneti biologici alle porte di Cori
E ‘fatto poco noto, ma ai piedi del versante occidentale dei Monti Lepini, precisamente nella campagna di Cori, si apre una zona vinicole più belle, pregiate ed interessanti del Lazio. Re di queste coltivazioni è il Bellone, vitigno autoctono che dà vita a produzioni limitatissime ma di alta qualità, sempre più aperte verso il biologico: qui siamo fra gli splendidi vigneti delle cantine bio di Carpineti.
Lungo la Santa Severa- Tolfa, attraverso il “selvaggio West” del Lazio.
Una delle strade in assoluto più suggestive del Lazio é la SP Santa Severa-Tolfa: celebre tra gli amanti delle due ruote (sia moto che bici) ed utilizzata anche per riprese cinematografiche, essa si snoda per una ventina di km nel magnifico scenario maremmano dei Monti della Tolfa, con i suoi grandi spazi e, alle spalle, lo sfondo azzurro del Tirreno.
Siamo nel settore nord-ovest dell’ex Provincia di Roma, in quella che oggi è chiamata la “Città metropolitana di Roma”, ma giunti piú o meno a metà strada, senza una casa a 360°, tale forzata espressione burocratica (che sembra nata dai sogni dei palazzinari più estremisti o da “tecnici”, burocrati appunto, che forse non sono mai usciti dai propri uffici) si impone in tutta la sua miserabile stupidità. Altro che metropoli! Ci si sente infatti come persi in questo scenario selvaggio e bucolico allo stesso tempo, apparentemente lontanissimi da una grande e popolosa città, dove gli unici abitanti sono i bovini locali dalle lunghe corna ed i rustici cavalli della Maremma. Data la totale libertà e la mancanza di privatizzazioni (la gran parte dei terreni è demaniale o in concessione), lungo la strada ci si può fermare praticamente ovunque e magari scendere nelle vallette che si incontrano di tanto in tanto per ammirare limpidi torrenti e i profumi della macchia mediterranea. Di certo Roma è, per sua (e nostra) fortuna, una “metropoli” assai atipica e questa zona così ben preservata costituisce l’ennesima conferma di come la nostra Capitale sia un patrimonio unico non solo per i suoi monumenti ma anche per il territorio che la circonda e che abbia ben altre vocazioni rispetto a mega-impianti sportivi con annessi grattacieli, grandi opere ed altri inutili ed avvilenti progetti.
Ma torniamo a noi: aprile è un periodo particolarmente indicato per percorrere la Santa Severa-Tolfa (proseguendo verso la Farnesiana o verso Canale Monterano) e per fotografare l’incantevole paesaggio agro-pastorale che la circonda, grazie alle stupende fioriture spontanee sui pascoli e all’esplosione dei siliquastri che chiazzano di fucsia la vegetazione verdeggiante: uno spettacolo da non perdere! Si segnala inoltre la cura dell’arteria in sé, caratterizzata da un buon asfalto e da una complessiva pulizia mentre costituiscono delle vere chicche i muretti a secco e le tradizionali recinzioni in legno dei pascoli, nonché i tipici fontanili bianchi della Tolfa. Tutto ciò concorre a creare un quadro paesistico che esprime al meglio la civiltà rurale del Lazio. L’arrivo finale a Tolfa e l’affaccio mozzafiato dalla Rocca Frangipane sono la degna conclusione dell’itinerario.
Aprile nella Maremma Laziale
Aprile è forse il mese migliore per godere il paesaggio nelle zone interne della Maremma Laziale. In particolare le valli del Marta e del Mignone, coi loro grandi spazi, in buona parte ancora incontaminati, si prestano a semplici e gratificanti passeggiate o a spettacolari percorsi a cavallo e in mountain bike. Tutto in questo mese è verde: dai boschi ai campi coltivati e ai pascoli, spesso ricoperti da incantevoli fioriture, in un ambiente a tratti paradisiaco. La foto ritrae la magnifica campagna fra Tarquinia e Tuscania, nei pressi di Montebello, una delle aree senz’altro più belle di questo vasto e tuttora poco conosciuto territorio.
Castagneto a novembre sui Monti Cimini
Lo splendore dei castagneti dei Monti Cimini a novembre: nella foto ci troviamo nella località Poggio Nibbio, in una zona che offre panorami mozzafiato. Tutta l’area dei Cimini è caratterizzata da suggestioni romantiche e luoghi misteriosi: per saperne di più si faccia riferimento alla nostra guida “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”.
Campagna novembrina ai piedi di Monteleone Sabino
La splendida campagna ai piedi di Monteleone Sabino. In questo periodo le colline e le vallate della Sabina esplodono con mille sfumature di colore che rendono il paesaggio magnifico. Casali in pietra si ornano non solo dei consueti pini e cipressi, ma anche dei colori struggenti degli alberi di cachi, dei melograni, dei noci, e dei ciliegi.
Vigneto presso Sermugnano
Un vigneto presso Sermugnano (frazione di Castiglione in Teverina), sulla splendida “Strada del Vino della Teverina Viterbese”: a novembre la campagna della Tuscia regala lo spettacolo superbo dei suoi colori.
Paesaggio presso Colli sul Velino
Lo splendido paesaggio agreste della Valle Santa di Rieti presso Colli sul Velino. Uno scenario di altissimo valore estetico e culturale di cui si parla ancora troppo poco. Noi lo abbiamo attraversato interamente durante la prima tappa del Cammino di Francesco!
I Monti Lepini e la riscoperta di un’antica civiltà rurale
I Monti Lepini si innalzano, estesi ed imponenti, dalla Valle del Sacco a nord-est e dall’Agro Pontino a sud-ovest, a cavallo fra le province di Roma, Frosinone e Latina. Fanno parte della catena dell’anti-Appennino laziale, in cui rientrano i più meridionali Ausoni ed Aurunci. Un’area naturale di grande valore, tutelata da SIC e ZPS all’interno della Rete Natura 2000 dell’U. E., fra le più importanti del Lazio intero, malgrado la scarsa notorietà turistica sia a livello nazionale che regionale.

Paesaggio presso Gorga
Il massiccio culmina nel Monte Semprevisa, che con i suoi 1536 m. domina l’Agro Pontino: rivestito di foreste e spesso innevato durante l’inverno, a vederlo dal mare offre un affascinante contrasto visivo con l’ambiente del tutto diverso della costa.
Nonostante le forme piuttosto arrotondate, ad un primo sguardo queste montagne non presentano quasi mai un paesaggio dolce. Brulle pietraie caratterizzano le creste montuose e la stessa cosa avviene alle quote meno elevate in tutto il versante pontino. Le pendici dei rilievi presentano una campagna coltivata per lo più ad uliveti e frutteti su spettacolari e interminabili terrazzamenti, che cede poco alle arature e ai seminativi.
Fanno eccezione, nel “recinto pedemontano”, le colline interne fra Artena e Colleferro e quelle, splendide, di Giulianello (che fanno da corona all’omonimo lago), i prati della Val Suso presso Sezze, oppure alcune aree agricole del versante ciociaro (Gavignano, Sgurgola, Morolo) e della Valle dell’Amaseno (al confine con i Monti Ausoni) che ripropongono il classico scenario rurale del Lazio dei campi di grano e foraggio intervallati a pascoli punteggiati di greggi e querce solitarie.
Ma salendo sui monti prevalgono nettamente la pastorizia e l’arcaico paesaggio di pietraie e foreste che lasciano inaspettatamente il posto ad ampie ed assolate pianure carsiche.
Queste ultime sono un po’ la specificità dei Lepini e li accomunano ad un altro importante massiccio laziale, quello dei Simbruini, che corre quasi parallelo a nord-est e che nelle giornate limpide si lascia ammirare – insieme ai contigui Ernici – con le sue vette innevate per molti mesi all’anno.
Altopiani carsici come il Campo di Segni, il Campo di Montelanico, il Pian della Croce presso Supino, il Pian della Faggeta presso Carpineto, i Piani del Lontro presso Gorga, Campo Rosello presso Bassiano, ecc… offrono veri e propri “quadri” bucolici con un paesaggio pastorale d’altri tempi che negli ultimi anni si sta cercando di recuperare e valorizzare nei suoi aspetti insediativi tradizionali (fienili, “lestre”, muretti a secco, ecc…).
Le verdi praterie permettono l’incontro con bovini, equini e suini tenuti per lo più allo stato brado, sfruttando così l’immensa ricchezza vegetale dei terreni, ciò che incide positivamente sull’altissima qualità delle carni e dei formaggi qui prodotti. Più timida la fauna selvatica, decimata dalla caccia, che comunque include una notevole varietà di rapaci e mammiferi: si parla anche dello sporadico passaggio del lupo appenninico.
Su questi magri alpeggi l’acqua è pressoché assente, se non nei piccoli volubri e nelle rare risorgenze, fatto causato dalla natura carsica dei terreni. Del resto i pianori dei Lepini, oltre ad essere di notevole valore paesaggistico, costituiscono uno straordinario patrimonio geologico, offrendo tutti gli aspetti del carsismo “maturo”: inghiottitoi, campi solcati, pinnacoli rocciosi, grotte, ecc.. Un complesso, questo, ancora da esplorare e tutto da valorizzare.
Un’altra peculiarità dei Lepini sono senza dubbio i boschi. Vasti, fitti, selvaggi, comprendono tutti gli strati della macchia mediterranea fino alle più elevate faggete. Fioriture di orchidee e stupendi esemplari secolari di faggio, acero, cerro e tasso riempiono gli occhi dei camminatori che sempre più numerosi frequentano nel fine-settimana queste montagne.
La morfologia complicata dei rilievi rende però le selve ambienti in cui non è difficile smarrire il sentiero e perdersi: le cupe faggete, ad esempio, quando le luci del tramonto iniziano ad abbandonarle, diventano luoghi in cui orientarsi può essere complicato se non si conoscono bene i percorsi, anche perché quasi totale è l’assenza di presenza umana e di riferimenti antropici.
Di quota modesta e quasi prive di pareti imponenti e torrioni rocciosi, le cime dei Lepini sono state snobbate per molti anni dall’escursionismo romano, rimasto a lungo orientato verso le grandi montagne abruzzesi. La situazione è oggi radicalmente cambiata e queste piccole “vette” sono molto apprezzate per la vastità dei panorami e per l’integrità degli ambienti naturali che si attraversano per raggiungerle: fra le principali si segnalano, oltre al già citato Monte Semprevisa (che dal versante di Pian della Faggeta riserva una delle escursioni più interessanti e complete del massiccio), i monti Malaina (1480 m.), Gemma (1457 m.), Croce Capreo (1421 m.), Lupone (1378 m.) ed Erdigheta (1336 m.), mentre minore come altitudine ma assai pittoresco è il Monte Cacume (1095 m.), dal nome buffo e dall’inconfondibile forma piramidale.
Sempre più siti internet e associazioni escursionistiche includono i Lepini come meta di gite e trekking: segno, questo, di una “maturazione” avvenuta nel mondo dell’escursionismo negli ultimi tempi, di cui è prova il vero e proprio “boom” dei percorsi a bassa quota e dei “cammini” (fra l’altro nei Lepini passa il tracciato della cosiddetta “Via Francigena del Sud”, così chiamata poiché va a congiungere Roma con Brindisi, ove nel Medioevo i pellegrini si imbarcavano per la Terra Santa).
Evidentemente la mentalità dell’escursionismo contemporaneo sta cambiando: molti stanno abbandonando l’ideologia “alpinistica”, per cui solo montagne di una certa forza evocativa e di una certa altitudine sarebbero “degne” di essere percorse, e stanno iniziando a giudicare l’interesse degli itinerari dalla ricchezza naturalistica, ambientale, culturale, antropica dei luoghi, al di là della “quota”.
Infine i paesi. Sono molti e quasi sempre di remota origine. Sembra infatti che le civiltà più antiche avessero già prescelto questi luoghi come perfetti per abitarvi. I Volsci, popolazione italica di incerta provenienza (forse umbra), edificarono città dalle mura possenti ed invalicabili, dette dagli studiosi di archeologia “megalitiche” (o “poligonali”) per l’essere costituite appunto di giganteschi poligoni litici lavorati ed incastrati alla perfezione “a secco”, cioè senza l’uso di malta, secondo una tecnica ingegneristica ancor oggi sconosciuta. Nel corso già dell’epoca romana queste architetture furono oggetto di mitizzazione (ma anche di pragmatico riutilizzo), essendo ritenute opera di “giganti”: i cosiddetti “ciclopi” di omerica tradizione, giunti qui da chissà dove. Alcuni conferiscono la loro origine (o la loro dedica) al Dio Saturno, secondo una leggenda complicata quanto affascinante di posizionamento non casuale di queste città, corrispondente cioè alla forma di determinate costellazioni.
Molto si potrebbe scrivere – e molto abbiamo già scritto e continueremo a dire a tal proposito – su queste costruzioni straordinarie che si estendono per tutta la Ciociaria – celebri le “mura poligonali” di Alatri, Ferentino, Veroli e Arpino – con testimonianze importanti anche nelle zone e nelle regioni limitrofe, in particolare nell’area pontina, in Sabina e nell’Umbria meridionale (a Spoleto e ad Amelia). Qui sui Lepini si conservano alcuni degli esempi più notevoli di “mura ciclopiche” in Italia: a Cori (dove è ben visibile tutto lo sviluppo storico dei vari periodi delle mura megalitiche, da quelle più arcaiche a quelle d’epoca romana), a Norba (abbandonata in epoca sillana dopo un tragico suicidio di massa) e a Segni (spettacolare la cosiddetta “Porta Saracena”).
Terminata l’epoca romana, questi vetusti siti, che in parte non furono mai abbandonati, tornarono molto utili contro le scorribande barbariche e più in là contro la minaccia araba. La loro posizione arroccata, spesso a strapiombo di rupi altissime, gli permise di rafforzarsi in epoca medievale sia come baluardi dello Stato della Chiesa, a cui sempre appartennero, sia come feudi dell’aristocrazia romana.
Nel Basso Medioevo si costituirono talvolta dei liberi Comuni, di cui rimane traccia nei palii, nei cortei in costume e nelle tradizioni civiche che ancor oggi segnano la storia e la vita culturale di queste comunità. Interessanti anche le manifestazioni di carattere religioso, fra cui spicca la Passione Vivente di Sezze.
E’ una religiosità molto sentita quella delle popolazioni lepine. E forse non è un caso se qui si installarono diverse comunità monastiche, di cui i simboli sono senz’altro le abbazie cistercensi di Valvisciolo e Fossanova. Quest’ultima, vero capolavoro d’arte gotico-cistercense, dichiarata “attrattore culturale” dalla Regione Lazio, sorge un po’ defilata, in pianura, verso Priverno: vi morì San Tommaso d’Aquino e la sua creazione costituì forse il primo tentativo in assoluto di bonifica delle paludi pontine nel Medioevo. Entrambe le abbazie serbano leggende e tracce esoteriche, per cui rimandiamo al nostro libro “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”.
Tornando ai paesi, dal punto di vista artistico e ambientale primeggia nettamente la magnifica Sermoneta, uno dei borghi più suggestivi ed integri del Lazio, ancora circondato da mura medievali e rinascimentali: da non perdere il poderoso Castello Caetani, importante monumento dell’architettura militare italiana. Similmente a Valvisciolo e Fossanova, il centro storico custodisce svariati segni e simboli di natura occulta e forse templare, la cui interpretazione è stata affrontata sempre nella nostra guida.
A Sermoneta contenderebbe lo scettro di bellezza la romantica Ninfa, se non rientrasse in un’altra categoria, quella cioè delle “città morte” (al pari della già citata, e più antica, Norba). Adagiata i piedi dei Monti Lepini, nell’angolo più bello della Pianura Pontina, Ninfa con suo giardino “all’inglese” e il suo laghetto sorgivo è assolutamente una delle meraviglie d’Italia e di per sé merita un viaggio. Anch’essa fu feudo dei Caetani (il cui castello domina le rovine), di cui rimase sempre proprietà privata fino all’estinzione della casata: in tempi recenti, una fondazione si occupa della sua manutenzione e delle visite.
Altri gioielli sono senza dubbio Bassiano, ancora cinta di mura medievali, patria dell’umanista Aldo Manuzio, Prossedi, dominata da un elegante palazzo-castello, e i “paesi-presepio” di Patrica, Artena e Sgurgola. Affascinante anche il centro medievale di Carpineto Romano, ingentilito da raffinate abitazioni e oggi in via di ristrutturazione, ma purtroppo, come altri borghi lepini, affiancato da una brutta espansione anni ’70-’80: problema che affligge anche la vicina Segni, ricca di monumenti e archeologia, il suggestivi borghi di Maenza e Roccagorga e soprattutto Sezze, il cui abitato storico, peraltro di notevole interesse, appare ormai come inghiottito dalle costruzioni degli ultimi decenni.
Il territorio intorno ai Monti Lepini, del resto, ebbe a soffrire nel Dopoguerra uno sviluppo industriale disordinato e speculatorio che ebbe ripercussioni sociali ed urbanistiche anche sugli antichi villaggi d’altura, rimasti da un lato fedeli ad una civiltà arcaica e dall’altro attratti da una “modernità” abbagliante quanto cieca, basata cioè su un concetto di “comodità”, di sviluppo “rapido” e meramente quantitativo che si è poi protratto sino ad oggi.
Queste contraddizioni sono visibili quando ci si affaccia sulle piane, in più punti martoriate da capannoni, cave, impianti fotovoltaici, ecc… che di colpo cedono il passo alle pendici intatte dei monti; eppure in basso resistono, a tratti, zone agricole di assoluta bellezza, ma ancora prive di una reale salvaguardia: “terreni” non “territori”! Si auspica a riguardo l’istituzione, quanto prima, di una serie di parchi agricoli a loro tutela e promozione.
Oggi tuttavia la crisi economica in atto a livello nazionale (ed oltre) sta risvegliando nuovi modi di pensare l’avvenire, e molti di questi paesi si stanno riappropriando di tradizioni e mestieri fino a pochi anni fa dati per spacciati: in questo senso proprio la pastorizia appare con tutta la sua forza trainante, in particolare verso i giovani. Come altri territori, anche i Lepini insegnano che non potrà esservi futuro se non nel solco di una rinnovata tradizione, che è lì, solida, pronta all’uso, e attende soltanto di essere riscoperta.
Inoltre, una maggiore consapevolezza delle risorse paesaggistiche, enogastronomiche e culturali del territorio si sta facendo largo nella popolazione: non a caso stanno aumentando i b&b e gli agriturismi, fino a poco tempo fa rari da queste parti. Il pane e il vino di Cori, il prosciutto crudo di Bassiano, le olive da tavola di Rocca Massima, un olio extravergine di oliva dovunque di altissima qualità e tanto altro ancora sono alcune delle eccellenze già riconosciute a livello nazionale su cui può far leva lo sviluppo agricolo lepino e quindi il rilancio dell’economia locale.
Si auspica insomma una rinascita di questa sorta di “isola” di autenticità e civiltà vera – seppur sopita – all’interno di un mare di “modernità”, quella delle pianure industrializzate e urbanizzate, falsa e ormai declinante, e in ultima analisi già vecchia.
Castiglione in Teverina, piccola “capitale del vino” del Lazio
Situato al margine della Valle dei Calanchi di Bagnoregio e al confine con l’Orvietano, Castiglione in Teverina è uno dei principali centri vitivinicoli del Lazio. Seppur meno nota di Frascati e Marino, di Piglio e Olevano o della vicina Montefiascone, solo queste località possono contenderle il titolo di “capitale del vino del Lazio”. Un primato letteralmente guadagnato “sul campo”, poiché da qualsiasi parte vi si giunga sono i vigneti – alternati a coltivi, pascoli, uliveti e boschi – a dominare lo splendido paesaggio agreste, punteggiato da casali in pietra ornati da cipressi. Siamo infatti sulla “Strada del vino della Teverina” e qui a differenza di altre “strade del vino” (a cominciare da quella dei Castelli Romani) le vigne si vedono davvero: periodo perfetto per ammirarle è ovviamente quello successivo alla vendemmia, quando i filari si colorano di giallo oro, arancio e rosso carminio.
Erede di una pluri-millenaria tradizione vinicola risalente agli Etruschi, Castiglione, assieme ai Comuni limitrofi (Civitella d’Agliano in primis), contribuisce sensibilmente alla produzione dell’Orvieto doc (da non confondere con l’Orvieto “classico”, che si produce soltanto nei diretti dintorni della rupe), un bianco pregiato di vetuste origini caduto nel dimenticatoio negli ultimi anni ma capace di indiscutibili eccellenze; altra perla è il Grechetto, vino anch’esso di origine umbro-laziale, mentre meritano una menzione il Colli Etruschi Viterbesi (o Tuscia) doc e il Lazio igt; se ci si informa bene prima di partire si possono acquistare delle autentiche chicche enologiche dalle aziende situate sul percorso. Evento sovrano di Castiglione è la “Festa del vino dei colli del Tevere”, che ormai da decenni rallegra alcune serate estive.
Appena entrati nel paese colpiscono l’ordine, la pulizia e la dignità dell’abitato moderno, che ospita un interessante Museo del Vino (MUVIS), a quanto pare uno fra i più grandi d’Italia; annesso vi si trova un centro-informazioni turistiche sempre aperto, che conferma lo sforzo delle amministrazioni locali di accogliere i visitatori nel migliore dei modi.
Poco dopo si apre la piazza principale di Castiglione, in fondo a cui troneggia il turrito Castello dei Monaldeschi, edificato a cavallo fra XIII e XIV secolo: questo dà accesso al piccolo borgo medievale, attualmente un po’ malandato ma che sta favorendo di numerosi lavori di ristrutturazione finalizzati a riportarlo all’antico splendore. Stupendi gli affacci panoramici sulla Valle del Tevere, oltre la quale si innalzano i Monti Amerini, con le macchie bianche dei “paesi cugini” della Teverina umbra.
Visitata Castiglione, ecco però che è ancora la sua campagna a regalarci le sorprese più belle. Procedendo in direzione di Orvieto si giunge ad un punto particolarmente pittoresco della Strada del Vino della Teverina, ove spicca l’elegante chiesetta rurale della Madonna delle Macchie con annesso casolare.
Proprio di fronte inizia una sterrata in discesa dal fondo ottimamente percorribile (segnalata da un cartello in legno come la “Strada della Lega”) che permette di inoltrarsi inaspettatamente in una sorta valle “segreta”: dinnanzi ai nostri occhi il paesaggio finora dolce e rassicurante muta all’improvviso nel deciso contrasto fra le onnipresenti vigne e i caratteristici ventagli ocra dei calanchi, mentre candide greggi fanno capolino fra i verdi prati. Se percorsa tutta, inoltre, la Strada della Lega conduce con una piacevolissima passeggiata direttamente alla parte antica di Castiglione, che da qui si offre alla vista nella sua perfetta forma di incastellamento. Anche in questo caso occorre ammettere che il Comune di Castiglione ha un altro pregio raro, quello cioè di aver reso fruibile quasi per intero il suo ambiente agricolo e di avergli così dato la giusta importanza.
Dal lato opposto della valle, all’apice di una collina, appare come una visione il minuscolo villaggio di Sermugnano, frazione di Castiglione. Lo si può raggiungere in pochi minuti tramite una strada che attraversa uno dei paesaggi agrari più nobili ed intatti del Lazio, impreziosito da un ricco patrimonio di edilizia rurale. Il piccolo borgo non presenta edifici di pregio architettonico e le case hanno un tono piuttosto dimesso: anche qui però i panorami valgono di per sé la deviazione; nella zona, peraltro, sono rilevanti le tracce del passato etrusco.
Sermugnano e Castiglione fanno parte del nostro itinerario “Borghi e paesaggi segreti della Tuscia, parte 2”, che disegna una vera e propria vacanza di più giorni nella Teverina laziale, stupenda plaga ricca di luoghi “fuori dal tempo” nonché di veri e propri tesori archeologici, storici e ambientali: una zona insomma che può rivelarsi come una sorta di “terra delle meraviglie” per chi ami il viaggio lento e “di scoperta”.
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