Il “Paradiso rivoluzionario” di Ninfa

Ninfa – angolo d’Italia a noi carissimo – è oggi un luogo concettualmente rivoluzionario. Le struggenti rovine due-trecentesche (descritte dal Gregorovius, nell’Ottocento, come la “Pompei del Medioevo”), avvolte da un giardino “all’inglese” fra i più romantici al mondo, formano uno scenario di disperata bellezza, concepito nei primi del Novecento dal genio paesaggistico di Lelia Caetani e, prima di lei, dal gusto floristico della madre Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani. Qui il valore della Bellezza estetizzante è elevato ad elemento primario che – come la “donna angelicata” per gli stilnovisti – sa avvicinare al Divino gli animi sensibili, oltre ad essere fonte di ispirazione per opere artistiche e letterarie. Un luogo “rivoluzionario”, dicevamo, poiché in un’epoca sempre più dominata dal gretto materialismo meccanicista, scientista e filo-distopico, con l’ideologia del “funzionale tecnologico” che sottomette e deride come “superstizione” ogni valore spirituale e sentimentale, in primis quello della Bellezza (sfociando sempre più marcatamente nel Transumanesimo totalitarista, con lo strumento-tecnologia che diviene fine e addirittura divinizzato), Ninfa ricorda che c’è stata gente – e c’è ancora – la quale crede in valori e concetti assolutamente contrapposti. Laddove la “filosofia” pragmatica e neopositivistica (e neoliberistica, ovviamente, poiché tutto l’orrore si regge solo sul capitalismo consumistico) spinge l’uomo sempre più a “campare”, Ninfa – con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi “quadri” – ci ricorda come “vivere” sia ben altra cosa e come la Bellezza ne sia parte fondamentale. Mentre dalla nostra parte se non c’è Dio c’è senz’altro la Natura, dalla parte loro può esserci soltanto Satana o il nichilismo.


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