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“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 3

Ed eccoci giunti alla terza ed ultima puntata di questo nostro anomalo viaggio indietro nel tempo. Con la seconda parte ci eravamo spostati verso sud-ovest (nelle località di Pian di Vico e San Giuliano) ed ora continueremo in quella stessa direzione sfiorando suggestive località come Formicone, Castel Ghezzo, Pian dell’Arcione. Ci troviamo nella porzione più solenne e panoramica della “zona sacrificabile” (e ormai “sacrificata”): un paesaggio dai “grandi spazi” che poco aveva da invidiare ai più celebrati panorami agresti della contigua Toscana, e che custodiva l’anima più vera della civiltà rurale della Tuscia e un potenziale tutto da sviluppare per l’economia locale. Viaggiare sulla sp4 da Tuscania a Montalto equivaleva infatti ad immergersi in una vera e propria “galleria” di scorci mozzafiato in una campagna pressoché incontaminata. Oggi, tuttavia, questa è proprio la direttrice lungo cui la speculazione energetica e la conseguente distruzione hanno raggiunto livelli parossistici. Un paesaggio che da verde (qual era) si sta trasformando in “green”, o più precisamente in “orange”, visti attualmente i numerosi cantieri aperti con relative reti arancioni dei lavori in corso: molti dei terreni che vedrete in foto non esistono più. Un territorio letteralmente fatto a pezzi, un disastro ambientale senza precedenti per la Tuscia Viterbese, le cui responsabilità hanno innominabili nomi e cognomi e coinvolgono una buona parte della politica locale e regionale. Percorrere la stessa strada a distanza di qualche anno, soprattutto da Montalto verso Tuscania, per via delle particolari prospettive visive, significa potersi rendere conto di come un patrimonio collettivo inestimabile (fatto di paesaggio e cultura, economia e turismo e soprattutto di TERRA) sia stato spazzato via e sostituito da un qualcosa che non somiglia più a nulla se non a un incubo distopico. Ricordiamoci insomma con le seguenti immagini di quanto era bella la Tuscia e di quale bene prezioso è stato sottratto al popolo italiano.

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“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 2

Dopo la prima parte di questo nostro drammatico itinerario, ecco che ora andiamo ad “esplorare” la zona - attraversata dall’antica Via Clodia – che forse offriva – e in parte offre ancora – le emozioni più intense e la campagna più pittoresca. Siamo nel Comune di Tuscania, dai grandi spazi pianeggianti di Pian di Vico – luogo del discusso (e scandaloso mega) impianto fotovoltaico, ora in costruzione – alla località di San Giuliano, con le sue magnifiche ondulate colline che preannunciano le più celebrate icone paesaggistiche della Toscana “ideale”. Casali, ville e fattorie completano il quadro di una porzione di territorio che, malgrado l’invadente presenza degli impianti energetici, ha conservato quasi intatto l’assetto insediativo storico e che negli ultimi anni aveva iniziato a farsi conoscere anche per alcune iniziative positive, come la coltivazione della lavanda. Buona visione!

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“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 1

 Cosa sono i “paesaggi-fantasma”? Sono quei paesaggi che semplicemente non esistono più. “Morti” che riappaiono di tanto in tanto con brevi scorci e finestre visive che ci fanno rammentare come fossero quando erano “vivi”. A questo punto ci potreste chiedere: si tratta di foto molto vecchie dunque? No, nient’affatto. Gli scatti che presentiamo in questa serie di articoli sono stati realizzati fra il 2019 e il 2021, nel periodo della cosiddetta “seconda ondata” del “Green” nella Tuscia (la prima avvenne nel 2009-2011, esattamente 10 anni prima). Eppure da quel momento ad oggi tanto è già cambiato. Molti degli scorci che vedrete non esistono più o sono stati pesantemente deturpati, oppure stanno per esserlo, poiché quasi ogni mese si apre un cantiere nuovo. O, ancora, si tratta di ritagli vedutistici che sono stati circondati dallo sprawl energetico; Infatti oltre agli impianti in sé, grandissimo impatto hanno avuto anche i nuovi elettrodotti, le nuove strade, le nuove sottostazioni elettriche, in un caos visivo ed elettromagnetico il cui impatto sulla stessa salute (psico-fisica) umana ed animale non è stato preso minimamente in considerazione – così come l’impatto sulle dinamiche sociali ed economiche locali.
 Il nostro lavoro fotografico si è concentrato sulla cosiddetta “zona sacrificabile”, un territorio completamente inesplorato dal punto di vista turistico e fotografico, una fascia dolcemente collinare di origine vulcanica che digrada dai Monti Volsini occidentali (Lago di Bolsena) sino alle porte di Canino. Una campagna verde, solare e armoniosa, un inno alla vita che prende il cuore. “E perché sacrificabile?” – direte voi. E’ un’espressione polemica coniata da noi pochi resistenti, che abbiamo provato a sensibilizzare l’opinione pubblica, fra cui va citato in primis l’amico Adrian Moss, con il quale abbiamo realizzato questi reportage. Reportage che oggi appaiono come preziose testimonianze storico-documentarie di un paesaggio ormai deturpato o letteralmente cancellato – nel giro di pochissimi anni. Se in tutto il Viterbese si sono infatti moltiplicati in questi anni progetti energetici – spesso di imponenti dimensioni – senza alcuna valutazione del cumulo, in un’anarchia autorizzativa che non ha paragoni in Europa e che meriterebbe un’inchiesta, è proprio in questa zona che tale follia “green” si è particolarmente “scatenata”, per via di una serie di motivi tecnico-logistici, geomorfologici e socio-economici. E’ per questo che subito un’area così vasta e così integra ci è apparsa di fatto sacrificabile con grande disinvoltura da una popolazione silente e da istituzioni tutte allineate nell’avallarne la distruzione, senza che nessuno (tranne le opposizioni e le proposte di vincolo della Soprintendenza, la denuncia di Italia Nostra e gli allarmi lanciati dall’Ispra circa il consumo di suolo che si stava verificando) si preoccupasse di tutelarla. Eppure si trattava di un territorio di straordinario valore agricolo (dalle foto vedrete che si tratta di terreni assolutamente produttivi) ma anche estetico e culturale, pertanto dal grande potenziale turistico: fino al 2009 – fatidico anno d’inizio dell’aggressione “green” – questo era un vero e proprio “paradiso rurale” che avrebbe fatto la felicità di investitori italiani e stranieri, con casali e case nei centri storici che oggi avrebbero goduto di una notevole rivalutazione immobiliare. E invece assistiamo ad un danno patrimoniale diffuso di milioni di euro che mai nessuno risarcirà. Nulla infatti è stato rispettato: dalle distanze da abitazioni, siti archeologici, costruzioni storiche, sic e zps, alla dignità di una terra e della sua gente.
 Senza voler approfondire il mare di menzogne pseudoscientifiche che si cela dietro a chi ha promosso, autorizzato e giustificato questo scempio a tutti i livelli, e al di là del falso ambientalismo salottiero e ideologico (se non colluso) incarnato da alcune grandi associazioni “verdi” (italiane e internazionali) con i loro dati astratti e non veritieri e con le loro statistiche e proiezioni catastrofistiche tutte da dimostrare (anzi, finora sempre dimostratesi, nel corso degli anni, fallaci e ridicole), ci è sembrato doveroso mostrare concretamente cosa stiamo perdendo o abbiamo già perduto nel più assordante silenzio generale, compreso quello del mondo dell’escursionismo (mostratosi timoroso o quanto meno superficiale di fronte a codesto massiccio attacco) e di quello intellettuale (o presunto tale). Altrimenti il senso di responsabilità nell’aver accettato tutto ciò, tacitamente o perfino plaudendo, non verrà mai stimolato, se mai possa essere stimolato in molte menti ormai completamente “lavate” dalla propaganda “green”. Insomma: avete applaudito o taciuto di fronte a questo “sviluppo green” ideale e astratto che però andava a stravolgere territori concreti e le vite reali di numerose persone? Ebbene, almeno sappiate cosa avete contribuito a distruggere, in modo tale che un domani quando non ci sarà più nulla e tutti si chiederanno esterrefatti “ma come è stato possibile?”, voi non potrete dire: “io non sapevo”. Se non lo sapevate eravate ignoranti: di un’ignoranza nera, quella di chi non conosce minimamente il proprio territorio. Se invece lo sapevate, siete stati di fatto complici. Tertium non datur. Di fronte a tale abominio il silenzio non ha scusanti. Del resto si trattava di un patrimonio collettivo irriproducibile – formalmente tutelato dalla Costituzione all’art. 9: un “bene comune” sacrificato – appunto – a vantaggio di pochissimi arroganti speculatori.
 Procedendo da nord verso sud in questo nostro anomalo (e struggente, per gli animi sensibili) itinerario, in questa prima “puntata” apriremo una panoramica sul territorio fra la Strada Piansanese (che collega Piansano e Tuscania) e la Strada Trinità (grosso modo tra Marta e Tuscania): paesaggi antichi e di sommo valore identitario per il Lazio, basati sulla rotazione colturale (pascolo, cereali, ortaggi foraggio, incolti – seminativi e coltivazioni arboree), segnano questa zona, che si era perfettamente conservata sino a pochi anni fa e in parte lo è ancora, nonostante l’ingombrante presenza, sull’orizzonte, di numerose pale eoliche e, sparsi, qua e là di alcuni mega impianti fotovoltaici. Siepi, casali in pietra, querce camporili, muretti a secco e fontanili, compongono i dettagli che rendono questa zona tuttora, a tratti, incantevole. Buona visione… – VAI ALLA PARTE 2.

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La magia della Valle del Biedano

La Valle del Biedano è una delle vallate più belle ed integre dell’Alto Lazio etrusco ma risulta ancora scarsamente considerata e studiata a livello fotografico, se non il tratto del Parco Regionale Marturanum a Barbarano (e di solito ci si limita al fondovalle nella splendida forra). Qui siamo nella sconosciuta zona, fra Blera e Vetralla, in cui il Fiume Biedano riceve le acque del Torrente Grignano. La foto è scattata dal Monte Panese – nei pressi di Vetralla – o meglio da una delle finestre che si aprono fra la vegetazione di questa boscosa e solitaria altura, di rado raggiunta da escursionisti o fotografi, e mostra la ricchezza e la varietà di questo prezioso paesaggio.


Il lago incantato…

Fra i tanti laghetti sparsi nel Lazio quello di Mezzano – di origine vulcanica come il vicinissimo e ben più grande Lago di Bolsena – è sicuramente uno dei più suggestivi. Compreso nel Comune di Valentano e circondato da un paesaggio rurale intatto – sempre più raro purtroppo nella Tuscia dopo gli scempi “energetici” degli ultimi anni – emana un’atmosfera sospesa e incantata. Sorgono sulle sue colline una manciata di casali – di cui un paio adibiti ad accoglienti agriturismi – e alcune fattorie dedite all’allevamento ovino. Si tratta insomma di uno degli scenari di maggiore importanza “identitaria” per il Lazio, che un recente vincolo della Soprintendenza (il lago era già un sito d’importanza comunitaria) permetterà di preservare alle future generazioni. Al di là di ciò, il laghetto presenta una flora molto varia sulle sue sponde, e sul versante occidentale un bel bosco di querce con esemplari secolari (Monte Rosso); ricca anche la fauna ittica nonché quella intorno al bacino, che annovera ungulati, cinghiali, scoiattoli e altri piccoli mammiferi. Negli anni Settanta del Novecento sul fondo del lago - che raggiunge la profondità di oltre 30 metri (una sorta di “imbuto”, come spesso accade per i laghi vulcanici) – vennero ritrovati copiosi resti (fra cui spade e altri utensili) di un villaggio palafitticolo dell’Età del Bronzo, che qui sorgeva allorquando le acque erano molto più ritirate (forse in seguito ad interventi di bonifica). Nei pressi del bacino si trovano anche le sorgenti del Fiume Olpeta, suo emissario e affluente del Fiora, che dopo pochi chilometri, lungo il suo corso, forma forre spettacolari e in cui si addensano numerosi insediamenti storici. Tutti questi elementi fanno del Lago di Mezzano un luogo unico, da esplorare, conoscere ed amare e in cui perdersi in un “mondo” che pare di fantasia e magia eppure così reale e a portata di mano…


Le colline dell’Ancarano

La spettacolare campagna che, nel cuore della Maremma Laziale, circonda i castelli di Pian Fasciano e dell’Ancarano: di quest’ultimo (nella foto) rimangono soltanto pochi resti sepolti dalla vegetazione ma la bellezza del luogo rimane intatta, anche grazie alla presenza di un vasto poligono militare che ha conservato in modo superbo l’antico e solenne paesaggio del latifondo papalino. Oggi possiamo infatti ammirare questi scenari come fossero un “libro di storia aperto” e per tale motivo essi costituiscono un patrimonio culturale collettivo di inestimabile valore, che andrebbe difeso da un parco nazionale.


Persi nella Piana del Diavolo

Una vista dalle campagne dell’Arkansas? Nient’affatto! Siamo nel cuore dell’Etruria, precisamente nella cosiddetta “Piana del Diavolo”, vasta pianura che si estende grosso modo fra il Monte Canino e Vulci, nella Maremma Viterbese. Immensi pascoli o coltivi si aprono di fronte ai nostri occhi e sembrano voler tenere lontane da noi le fitte selve che li bordano sullo sfondo e che paiono racchiudere misteri, leggende e siti archeologici inesplorati. Una terra di rara suggestione che meriterebbe un parco nazionale.


Geometrie sulle colline della Sabina Romana

Interessanti geometrie si sviluppano nella splendida campagna di fine autunno della Sabina Romana, nei pressi di Poggio Moiano.


I vigneti dell’Est! Est!! Est!!! e le terre di Montefiascone

Ammirando dall’alto la splendida Valle Perlata di Montefiascone viene subito alla mente la curiosa leggenda di Defuk e del vino Est! Est!! Est!!!, simbolo della tradizione rurale di questa cittadina affacciata sul Lago di Bolsena. Inutile dire che i colori dell’autunno esaltano la bellezza di questo paesaggio dall’alto valore culturale.


Paesaggio medievale in Sabina

La Sabina è l’area che più nel Lazio ha conservato “quadri paesaggistici” che sembrano “uscire” direttamente dal Medioevo, grazie alla scarsa industrializzazione, allo spopolamento e all’attaccamento alle radici rurali di chi è rimasto ad abitare in queste amabili terre. Particolarmente impressionante è il paesaggio che si apre a nord-est di Scandriglia, ove immensi uliveti segnano la trama del paesaggio, alternandosi a boschi, prati e frutteti, in un ambiente sano, ricco e variegato, in parte ricadente nel Parco Regionale dei Monti Lucretili. Ad impreziosire la scena, numerosi casali storici, alcuni dei quali di elevata fattura, e – nella foto – le forme severe del Monastero di San Salvatore minore. Una zona di straordinario pregio eppure tuttora sconosciuta, che invece meriterebbe di essere celebrata a livello fotografico, pittorico e non solo.


Come una “coperta” di ulivi…

Com’è noto, l’olio è definito l'”oro” della Sabina: gli uliveti, che caratterizzano fortemente il paesaggio, appaiono in più punti quasi come delle “coperte”, rendendo morbidi i profili di aspre colline e ruvide montagne.


Scorcio antico sui Colli Ceriti

Un’immagine antica e struggente di uno dei paesaggi più suggestivi del Lazio, ossia la campagna cerite con lo sfondo di uno dei Sassoni di Furbara.


La “fiaba” di Civita dalle Balze di Seppie

Una magnifica veduta al tramonto di Civita di Bagnoregio dal Monumento Naturale Balze di Seppie, piccola area protetta nei pressi di Lubriano. Uno scorcio straordinario, che include l’intera Valle dei Calanchi e che pian piano sta diventando conosciuto fra i turisti. Un vero e proprio “terrazzo naturale”, comodo e liberamente accessibile all’interno di un’accogliente azienda agricola di prodotti latto-caseari.


Contrasti di epoche

Sottoposta ad un ottimo restauro conservativo, la medievale Torre di Presciano svetta al centro di una pregiata tenuta vinicola, sulle prime dolcissime ondulazioni dei Colli Albani, nello sconosciuto triangolo agreste fra Aprilia, Lanuvio e Velletri, colmo di testimonianze storiche e archeologiche. Impressionante, nella foto, il contrasto fra la nobiltà della torre e lo sfondo del disordine edilizio apriliano.


Quadretto bucolico nella Valle del Fiora

Un quadretto bucolico nella bella campagna in località Roggi, presso Canino, a poca distanza dal Fiume Fiora: da notare i pastori maremmano-abruzzesi, vere “icone” di questo territorio sempre più aggredito dalle follie truffaldine dell’Agenda 2030.


Finestra sul paesaggio sabino

La Sabina offre di continuo “quadri” paesaggistici incantevoli, in un’atmosfera che infonde serenità e un senso di profonda spiritualità. Una delle zone più piacevoli e facilmente raggiungibili è senz’altro la Sabina Tiberina, oggi in via di notevole rivalutazione, con un mercato immobiliare assai vivace. Gli argentei uliveti, i verdi pascoli e i coltivi, le scure chiome dei cipressi e dei lecci, i viali di querce, le ville e i casali in pietra caratterizzano in particolare la porzione settentrionale del comprensorio, in direzione del confine con l’Umbria, regione di cui ripetono molti stilemi (avendone del resto la Sabina fatto storicamente parte sino a tempi piuttosto recenti). Percorrendo con l’auto queste splendide e tortuose strade il fotoamatore dovrebbe fermare il mezzo di continuo, a causa della quantità (e della qualità) degli scorci che invitano ad uno scatto. In realtà queste colline baciate da Dio – e in cui risuona tuttora la parola di San Francesco – vanno esplorate possibilmente a piedi, ricalcando con la lentezza dei propri passi gli altrettanto lenti ritmi che contraddistinguono le silenziose campagne sabine. Qui, dove l’uomo ha saputo rispettare la “terra” così come le proprie radici rurali, in un’ottica tradizionalista e conservatrice di cui solo adesso riusciamo a capire il valore e la lungimiranza. Sta di fatto che ogni volta torniamo da questi territori “ricaricati” di una speciale energia positiva, che speriamo anche i nostri lettori vadano a godere di persona – magari approfittando proprio del suggestivo periodo autunnale.


Scorcio di Maremma ai tempi dell’Agenda 2030

Un quadro “perfetto” nella campagna della Tuscia maremmana, nei pressi della Strada della Trinità, la solitaria arteria che dai margini della caldera del Lago di Bolsena conduce sino alla Via Tuscanese a metà strada fra i Comuni di Viterbo e Tuscania. E’ questa la terra degli orizzonti ampi ed enigmatici in cui è custodita l’anima profonda della civiltà etrusca, che meriterebbe un parco nazionale. Eppure tale “perfezione” è soltanto apparente. O meglio: lo era fino a pochi anni fa ma ormai non lo è più. Del resto oggi siamo in tempi di “Agenda 2030” – ossia quell’orwelliano documento programmatico deciso dalla finanza internazionale e accettato supinamente dai governi dell’U.E. – che descrive obiettivi astratti e teoricamente meravigliosi ma crea i presupposti per il verificarsi del loro esatto contrario. Ne abbiamo una prova proprio da queste parti: per scattare questa foto e creare quest’immagine che richiama un paesaggio completamente intatto abbiamo dovuto cercare un “buco” tra selve di pale eoliche e distese di pannelli fotovoltaici. Un ambiente locale fatto a pezzi per “salvare” – così ci dicono i truffatori – l’ambiente globale: avanti dunque il “Green” al grido di “save the planet”!