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Celleno Vecchia, al calar delle tenebre…
Dopo il tramonto, al calar dell’oscurità, il fascino sinistro di Celleno Vecchia arriva al suo apice… Per saperne di più: “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito” – vol. 1.
Rovine di Santa Maria del Piano ad Orvinio

Al mattino, a Poggio Nibbio
Le romantiche visioni di Poggio Nibbio, uno dei luoghi più suggestivi e panoramici dei Monti Cimini, lungo l’antico tracciato montano della Via Francigena.
Veduta dell’Isola Tiberina presso Ponte Rotto
Una bella veduta dell’Isola Tiberina nei pressi di Ponte Rotto: uno degli angoli più suggestivi di Roma, cui sono legati infiniti aneddoti e leggende.
Castello di Torre Alfina-Veduta tra i fiori di un glicine
Il fiabesco Castello di Torre Alfina spicca tra un glicine in fiore. Senza dubbio questo borgo meraviglioso – sospeso fra Lazio, Umbria e Toscana – merita di essere visitato soprattutto nelle mezze stagioni.
Paesaggio nel Parco Nazionale del Circeo
Una romantica veduta in lontananza del Promontorio del Circeo (vedi: “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”), dalle spiagge che fronteggiano il Lago di Fogliano, a poca distanza da Latina: uno scenario emblematico del Parco Nazionale del Circeo.
Profilo di Torre Astura al crepuscolo
Il profilo sullo sfondo di Torre Astura, pittoresco castello sul mare a pochi km da Nettuno. Teatro di tragiche vicende storiche, il maniero e la sua spiaggia con i ruderi di una villa romana formano uno degli angoli più suggestivi del litorale laziale. Purtroppo questo magnifico tratto di costa, ricadente in un vastissimo poligono militare, non é stato finora mai tutelato né valorizzato adeguatamente e la sua fruibilitá rimane legata ad aperture straordinarie.
Veduta di Ninfa
Definita dal Gregorovius “la Pompei del Medioevo”, la “città morta” di Ninfa giace al bordo di un radioso laghetto ed immersa in un magnifico giardino “all’inglese”. E’ un luogo unico al mondo, tuttora fonte di ispirazione per spiriti romantici. Domina le fiabesche rovine la possente torre quadrangolare del castello edificato dai Caetani, con la sua merlatura alla “ghibellina” (per saperne di più: “I castelli perduti del Lazio e i loro segreti”).
Scorcio autunnale delle rovine di Monterano Vecchia
Uno scorcio romantico delle spettrali rovine di Monterano Vecchia. Nel tardo autunno le calde tinte cromatiche della vegetazione mista della Tuscia creano scenari incantevoli che appaiono come veri e propri “quadri”, impreziositi come in questo caso da ruderi medievali, romani od etruschi. Per saperne di più: “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”.
Castagneto a novembre sui Monti Cimini
Lo splendore dei castagneti dei Monti Cimini a novembre: nella foto ci troviamo nella località Poggio Nibbio, in una zona che offre panorami mozzafiato. Tutta l’area dei Cimini è caratterizzata da suggestioni romantiche e luoghi misteriosi: per saperne di più si faccia riferimento alla nostra guida “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”.
Veduta crepuscolare di Bomarzo
Una romantica veduta crepuscolare di Bomarzo, uno dei luoghi più suggestivi e misteriosi del Lazio. Affacciato sulla Valle del Tevere, Bomarzo è celebre per il Sacro Bosco (o Parco dei Mostri) e – più recentemente – per la cosiddetta “Piramide etrusca”. Per maggiori informazioni: “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”.
Torre Alfina: dove il Lazio diviene fantasia
Quasi all’estremo nord del Lazio, proprio al confine con l’Orvietano, Torre Alfina incanta sin da lontano per le imponenti torri del suo scenografico maniero. Il borgo sorge sul Piano dell’Alfina, da cui prende il nome, territorio apparentemente ai margini di tutto, in realtà cuore di una più ampia zona umbro-laziale dai caratteri omogenei.
Siamo dunque nell’Alta Tuscia, o meglio in quel lembo di Lazio che dal Touring Club Italiano è stato definito “toscano” per via della continuità col paesaggio senese: espressione che però non piace ai locali, attaccati con forza ad un’identità “laziale” praticamente sconosciuta in buona parte della nostra regione (scaturita, com’è noto, da puri e semplici artifici amministrativi risalenti al periodo fascista).
Tale atteggiamento non è soltanto il frutto di un puro e semplice campanilismo – qui comunque piuttosto spiccato – ma anche della non sopita memoria storica delle genti della Valle del Paglia. Poco più a settentrione di Torre Alfina correva infatti il confine fra lo Stato Pontificio ed il Granducato di Toscana, come testimonia ancor oggi la dogana pontificia costituita dal grazioso villaggio di Centeno sulla Via Cassia. Confini che non videro mai ostilità (quelle ci furono fra Siena e Firenze ed arrivarono al massimo a lambire la Tuscia) ma che da sempre marcano differenze fra popoli e culture, tant’è vero che subito oltre il dialetto cambia di colpo.
Assente invece la competizione con la “sorella” Umbria, in virtù proprio della comune antica appartenenza “papalina”. Anzi si arriva spesso a Torre Alfina proprio da Orvieto, attraverso una strada che dapprima si snoda fra pregiati vigneti (con straordinarie visuali della rupe) e poi oltrepassa gli abitati di Castel Viscardo e Castel Giorgio. Tuttavia il modo più bello è quello di giungervi dal capoluogo comunale di Acquapendente, attraversando per nove chilometri una campagna stupenda. Ed ecco qui una sensazione straniante: i prati verdi, le querce solitarie e i boschi misti, le bianche greggi al pascolo, gli scuri casali in pietra vulcanica e poi sempre più vicino il paese, dominato sontuosamente dall’insolita architettura del castello, ricordano vagamente gli scenari rurali dell’Inghilterra piuttosto che l’Italia, non fosse per i pini, i cipressi, le vigne e qualche ulivo che ci ricordano che ci troviamo in ambito mediterraneo. Passando così accanto a ville e casolari dal tono elegante e rustico assieme, magari nel tardo autunno quando il fumo dei camini accesi si insinua nel cielo freddo e plumbeo, sembra quasi di essere immersi in un romanzo delle sorelle Brontë, come “Wuthering Heights” o “Jane Eyre”.
In realtà un paesaggio di questo tipo lascia spazio a molteplici interpretazioni ma di sicuro sa ispirare il visitatore imbevuto di letture romantiche. E di certo non è un caso se, appena entrati a Torre Alfina per uno splendido viale alberato, una tabella ci dice che siamo nel “paese della poesia” (oltre che in “uno dei borghi più belli d’Italia”).
Oggi come ieri questo piccolo gruppo di case solitario ed aristocratico attrae artisti e letterati, visionari e sognatori che nella vita vagheggiano beltà ed innocenza. Inoltre vi fanno visita i numerosi escursionisti ed amanti della natura che percorrono i sentieri della Riserva Naturale del Monte Rufeno: si consiglia a tal proposito di visitare il Museo del Fiore che offre un approfondimento sulla flora e sulla geo-morfologia dell’area protetta. Non ultimi, gli appassionati di produzioni tipiche conoscono bene Torre Alfina per il famoso gelato artigianale “Sarchioni”, che si può gustare nell’omonimo bar appena fuori dalle mura: un tocco di “prosa” che non fa male se è vero che la mente funziona meglio con la pancia piena.
Approfittiamone per un rapido cenno storico. Dapprima sorta forse come fortificazione longobarda (VIII secolo), la primitiva torre fu nel Medioevo sottoposta alla signoria dei Monaldeschi. L’abitato poi si sviluppò e visse una parentesi di relativa autonomia nel corso del ‘400, in ogni caso sotto l’influenza del potente Comune di Orvieto. Nella seconda metà del Seicento Torre Alfina passò per via ereditaria ai marchesi Bourbon del Monte ai quali appartenne sino al 1880, allorquando il borgo e le terre intorno vennero acquistati da un ricco banchiere francese: Edoardo Cahen d’Anvers. Già insignito del titolo di conte per aver finanziato le operazioni militari savoiarde nel corso delle guerre d’indipendenza, si guadagnò più tardi anche quello di marchese. Fu egli il protagonista della rinascita artistica di Torre Alfina, che conformò al suo spirito estroso.
Le viuzze del piccolo borgo, infatti, si mostrano nettamente sottomesse al gigante che sovrasta il tutto, e lì conducono in breve senza lasciar possibilità di smarrimenti labirintici: la stessa chiesa del paese sorge in posizione defilata quasi a temere di mettervisi in competizione.
Parliamo ovviamente del Castello Cahen, costruzione nata dalla fantasia del Marchese Cahen, il quale alla fine dell’Ottocento, con l’ausilio di un architetto senese, ristrutturò la preesistente fortificazione trasformandola in una sorta di “dimora da fiaba”.
Recentemente la raffinata struttura è stata resa visitabile grazie all’interessamento della Boscolo Etoile Academy, ciò che sta producendo un ritorno turistico positivo per il paese dopo decenni di abbandono pressoché totale.
Figura enigmatica, bizzarra e misteriosa, il marchese creò altresì un suggestivo parco “romantico” o “all’inglese” (ed ecco che i conti tornano), ossia caratterizzato da vegetazione spontanea e disordinata, sistemando un sentiero all’interno del sottostante Bosco del Sasseto, che il National Geographic ha appellato come “il Bosco di Biancaneve”.
E non basta. Nel folto della selva – oggi tutelata come “monumento naturale” – egli si fece edificare una tomba in stile neo-gotico che oggi sorprende ed affascina creando un angolo di rara suggestione. Purtroppo l’ignoranza, la maleducazione e la stupidità di alcuni “turisti” poco rispettosi ha fatto sì che la tomba del marchese sia stata più volte vittima di atti di vandalismo: tant’è che il sentiero per arrivare al sepolcreto non è segnalato, proprio per evitare un afflusso eccessivo.
Torre Alfina paradossalmente potrebbe anche risultare poco interessante o addirittura noiosa per molti. Nella nostra epoca scabra, fatta di archistar e grattacieli, “smart” e “2.0”, “manager” e “know how”, ma anche di turismo globalizzato e basato sullo shopping, il Romanticismo è un ricordo lontano. Cosa fare a Torre Alfina dove in pratica non esistono negozi? Arte e natura: “tutto qui”.
Si impone allora con tutta la sua potenza rivoluzionaria l'”anacronismo fantastico” di Torre Alfina, quale rifugio di cuori puri e forti che rifiutino il modello di sviluppo attuale, basato sul consumare cose, luoghi, terre, risorse e persone. Seguire la bellezza, vivere in essa e lottare per essa ci pare nella società odierna un vero e proprio “atto politico”, molto più incisivo di un voto dato a palesi cialtroni o a personaggi sconosciuti imposti alla popolazione dalle elite dirigenti e dai mass-media.
Emozionarsi guardando un’antica pietra color ruggine o una foglia di roverella che cade a novembre significa dare un calcio ad una società che vorrebbe l’accumular cose come metro della felicità.
APPUNTI DI VIAGGIO
Periodi consigliati: da aprile a giugno, da ottobre a gennaio
Dove dormire:
Agriturismo Le Roghete
La “città fantasma” di Monterano Vecchia
Situata quasi all’estremo nord della Provincia di Roma, nella Maremma Laziale, la vecchia Monterano è probabilmente la “città morta” più suggestiva d’Italia. Sorta nell’Alto Medioevo su un antichissimo sito etrusco, venne abbandonata fra il 1799 e il 1800 in seguito al saccheggio da parte delle truppe di Napoleone. Le sue malinconiche rovine giacciono immerse in uno scenario solenne e dagli orizzonti sorprendentemente ampi, caratterizzato da selve di querce e da aspri altopiani frequentati da greggi, cavalli e bovini allo stato brado ed incisi da profondi valloni in cui scorrono acque sulfuree dai colori inquietanti, che formano rapide e cascatelle spesso ghiacciate in inverno. Oggi salvaguardato da una riserva naturale amatissima dai romani, è questo uno dei “paesaggi fantastici” più celebrati del Lazio, nonché località privilegiata di innumerevoli set cinematografici.
Lo spettrale itinerario che raggiunge i ruderi di Monterano partendo dalla Cascata di Diosilla offre scorci che rimandano vagamente all’”Inferno” dantesco. In pochi chilometri si alternano ambienti totalmente differenti e talvolta contrastanti, ma tutti caratterizzati da un aspetto insolito e minaccioso. All’inizio il sentiero risale una forra, correndo ai fianchi di un torrente dalle acque rossastre, mosso da laghetti e cascate, e incedendo sinuoso tra enormi blocchi di pietra vulcanica che giacciono nelle posizioni più stravaganti, attorniati da una vegetazione lussureggiante che rimanda più alla jungla che ad un bosco italiano, con una profusione di grandi felci della specie “Osmunda regalis”.
D’un tratto, poi, la natura muta completamente ed il percorso sfocia su un’arida spianata in cui gorgogliano numerose sorgenti sulfuree e da cui si vedono i cunicoli di una vecchia miniera: dall’alto domina una rupe che sembra riprodurre un volto umano (chiamato localmente “l’indiano”) che cambia espressione a seconda della luce.
Poco oltre, il paesaggio cambia ancora: torna il bosco e si attraversa una scura tagliata etrusca che porta il visitatore sorpreso e affascinato sull’altopiano sommitale, da cui iniziano a scorgersi gli imponenti resti della “città fantasma”, affiancati da un maestoso acquedotto, opera del Demonio secondo la leggenda popolare (per questo detto “Ponte del Diavolo”).
La passeggiata tra le case e i monumenti diruti risulta, d’altro canto, non meno singolare e non meno ricca di elementi immaginifici. Stupisce ad un certo punto, giunti sotto le arcate del palazzo baronale degli Altieri, la visione di un grande leone scolpito sul sommo di una fontana che riproduce uno scoglio, opera questa (come altre nel borgo) del genio del Bernini, e che per il suo carattere estroverso è detta la “Fontana Capricciosa”.
Se lo si trova aperto, un cancello alla base del palazzo dà accesso ad una breve scalinata la quale a sua volta conduce ad uno straordinario terrazzino panoramico da cui si ammira uno dei paesaggi più splendidi ed intatti dell’intero Lazio e non solo. Compare in tutta la sua arcana bellezza la Valle del Mignone con lo sfondo dei selvaggi e verdissimi Monti della Tolfa e la mente del visitatore colto non può non andare spontaneamente a tutta quella tradizione di dipinti del Grand Tour che fra ‘700 e ‘800 ritrasse una campagna dai toni arcaici che qui è rimasta immutata nel tempo: “miracolo” compiuto dalle locali “università agrarie”, istituzioni d’origine tardo-medievale tipiche della Tuscia che salvaguardano da secoli l’utilizzo collettivo dei terreni e che costituiscono un vanto e un simbolo di civiltà per la nostra regione di cui si parla purtroppo ancora poco.
A dire il vero la perfezione di questo “paesaggio delle rovine”, data dal magnifico contesto ambientale in cui sono inseriti i resti urbani, meriterebbe il riconoscimento come patrimonio dell’Umanità dall’Unesco in virtù dell’estrema importanza culturale che il ruderismo rivestì nella letteratura e dell’arte europee del passato, soprattutto in epoca romantica.
Sempre berniniano è il seicentesco Convento di San Bonaventura, l’edificio più noto di Monterano, che appare sullo sfondo di un grande pianoro, ed il cui sguardo d’insieme costituisce il momento culminante del percorso. Dinnanzi alla chiesa, al cui interno cresce oramai un albero dalle ampie fronde, forse qualcuno potrà ricordare l’indimenticabile scena de “Il marchese Del Grillo” con Alberto Sordi, girata proprio qui, quando il protagonista, accompagnato da un soldato francese suo amico, si imbatte nei briganti di Fra’ Bastiano, il pittoresco prete pugliese scomunicato dal Papa che poi sarebbe stato decapitato a Roma.
Oltre San Bonaventura i camminatori più esperti possono scendere alle rive del limpido Torrente Bicione (nei pressi è una capanna di butteri) ed eventualmente proseguire lungo il Mignone in direzione dei Monti della Tolfa: del resto siamo in un territorio ancora così solitario e vasto che potenzialmente è possibile vagare per giorni in assoluta libertà, ricorrendo in ogni caso alla tenda in quanto pressoché assenti sono le strutture ricettive.
A livello escursionistico e fotografico i periodi più indicati a Monterano sono senza dubbio l’autunno inoltrato per i meravigliosi colori che offrono i boschi e la primavera per le svariate fioriture; meno gratificante l’estate a causa del caldo e della monotonia cromatica; eccezionale invece lo spettacolo, che non raramente regala l’inverno, delle rovine ricoperte di neve. Per saperne di più si consigliano il libro “Le città perdute del Lazio” di Emanuele Zampetti e la nostra guida “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”. Per chi volesse inserire infine Monterano in un itinerario più lungo, si faccia riferimento al nostro articolo “Borghi e paesaggi segreti della Tuscia (parte 1: da Roma alla Farnesiana)”.
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