Un romantico scorcio crepuscolare di Ninfa, con il diruto Castello Caetani, luogo di leggende medievali. “Città morta” avvolta in un giardino (“all’inglese”) fra i più belli al mondo è un luogo che fa sempre sognare, invitando alla riflessione.
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Il chiostro dell’Abbazia di Valvisciolo
Il suggestivo chiostro romanico dell’Abbazia di Valvisciolo, custode di tracce che rimandano alla presenza templare. Per saperne di più: “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito – vol. 2”.
Bifora a Sermoneta
Uno dei tanti preziosi elementi decorativi, artistici ed architettonici che si incontrano nel centro storico di Sermoneta, una delle “protagoniste” della nostra guida “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito – vol. 2”.
Un vicolo di Sermoneta
Siamo a Sermoneta, lungo il vicolo, ormai ombroso con il sopraggiungere del crepuscolo, che collega – a saliscendi – la piazzetta del belvedere con la romanica Chiesa di San Michele Arcangelo. Un mosaico di pietra calcarea formato da case e palazzetti medievali e rinascimentali in cui, incisi su stipiti e gradini, si notano simboli misteriosi.
Sermoneta spunta dal basso
Le antiche case di Sermoneta spuntano dalla macchia mediterranea, viste dall’area della Fiera di San Michele. Spicca il maschio del Castello Caetani, simbolo del paese. Sermoneta sarà una delle protagoniste del vol. 2 della nuova edizione di “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”, che uscirà fra non molto, dopo il grande lavoro effettuato in quest’ultimo anno di studi, ricerche, perlustrazioni e reportage fotografici. Stay tuned!
Vicolo con casa-torre a Sermoneta
Un caratteristico vicolo a Sermoneta, su cui svetta una casa-torre.
Convento di San Francesco a Sermoneta
Il Convento di San Francesco a Sermoneta, baciato da una luce di primo autunno … Un luogo avvolto dal mistero …
Sermoneta-Scorcio fiorito
L’inizio dell’autunno è un momento ideale per ricominciare ad “andar per borghi”, per chi d’estate abbia preferito l’ozio in spiaggia oppure abbia dovuto lavorare… Il clima perfetto e il rigoglio della vegetazione dopo l’arsura estiva rendono piacevolissime le passeggiate nei nostri centri storici. Ecco in quest’immagine un grazioso scorcio “fiorito” lungo il corso di Sermoneta, uno dei borghi più belli del Lazio, noto per il possente Castello Caetani.
Abbazia di Valvisciolo, facciata
La semplice ed elegante facciata romanica dell’Abbazia cistercense di Valvisciolo, situata nei pressi di luoghi importanti come Ninfa, Bassiano, Norba e Sermoneta, alle pendici dei Monti Lepini. Impreziosito da un magnifico chiostro, il monumento, di antichissima origine, custodisce un rarissimo esempio di “Sator circolare” oltre che innumerevoli altri esempi di “iconologia magica”. Sull’abbazia aleggiano curiose leggende legate ai Templari (per saperne di più: “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”).
Riflessi nel laghetto di Ninfa
La primavera è senza dubbio la stagione della vita en plein air. E quindi ville, parchi e giardini storici diventano luoghi speciali da visitare in questo periodo, sperando nella clemenza del meteo. Qui siamo a Ninfa, la “Pompei del Medioevo” come la definì il Gregorovius nell’Ottocento, oggi considerata uno dei giardini “all’inglese” più belli del mondo: le torri merlate alla ghibellina del Castello Caetani si specchiano nel rigoglioso laghetto sorgivo sul quale sorgono le rovine di questa affascinante “città morta”. Si consiglia vivamente la visita di questo straordinario luogo fra aprile e maggio.
Sermoneta: benvenuti nel Medioevo
Attorniata da uliveti secolari, Sermoneta si adagia su una collina dei Monti Lepini, a balcone sull’Agro Pontino. Le origini del sito sono remote ed imprecisate, forse rintracciabili dell’antichissima città volsco-romana di Sulmo. Le fonti storiche sono però scarse ed è piuttosto il Medioevo a conformare tutt’oggi l’aspetto del borgo, uno dei più suggestivi e meglio conservati del Lazio, grazie ad un’attenta e lungimirante gestione urbanistica. A differenza di tanti altri centri storici, difatti, nel Dopoguerra Sermoneta non venne deturpata da espansioni moderne, ed oggi possiamo ammirarla pressoché inalterata rispetto al XVI secolo, apice del suo sviluppo.
Ma fu proprio il Cinquecento a segnare la fine dell’epoca di splendore di Sermoneta, che rimase a lungo feudo dei Caetani, potente casato della “Marittima”, toponimo con cui allora si indicava il territorio pontino. Già signori di Ninfa, i Caetani arricchirono Sermoneta di chiese e palazzi, munendola peraltro di una cinta muraria e di un poderoso castello.
Il Castello Caetani, che domina solennemente l’abitato, costituisce senz’altro il monumento più celebre di Sermoneta. La visita è davvero irrinunciabile ed emozionante: nelle sue stanze affrescate e ricche di arredi d’epoca, si può rivivere in pieno l’atmosfera magica di un maniero dell’Età di Mezzo tra i più integri in Italia, magari immaginando le gesta di Lucrezia Borgia, che qui venne ospitata.
Accanto al castello, merita poi un cenno l’austera Cattedrale di Santa Maria Assunta, del XIII secolo, che serba numerose opere d’arte, fra cui un quattrocentesco Giudizio Universale nella controfacciata; splendido anche il campanile, residuo dell’originaria chiesa romanica, ornato da bifore e da scodelle colorate in ceramica.
Passeggiando quindi tra le viuzze e le piazzette del borgo, che si aprono ad impressionanti scorci a valle, si incontrano edifici d’aspetto molto vario, ora nobile ora rustico, talvolta sede di ristoranti, botteghe d’artigianato e negozi di prodotti tipici locali (dall’olio alle olive, dai liquori ai rinomati biscotti).
Le case appaiono spesso adornate da vasi di ortensie e gerani o da rampicanti di gelsomino, bouganville e glicine, mentre inaspettati si aprono numerosi giardini pensili colmi di agrumeti. Fra i vicoli assolati, pigri gatti sembrano i padroni della scena.
Accade pure di scoprire deliziose chiesette medievali, come ad esempio la piccola Chiesa di San Michele Arcangelo (XI sec.), appartata in un minuscolo slargo ove svetta un’imponente palazzo turrito. Ma in generale quel che colpisce è il fatto che l’intero tessuto urbano (ancora interamente racchiuso nella cinta muraria cinquecentesca, oggi divenuta un innovativo museo “en plein air”) si presenti, dalle case alla stessa pavimentazione, come un vero e proprio “mosaico” di pietra, realizzato rigorosamente con il bianco calcare lepino.
Scenario rappresentativo di tale peculiarità è sicuramente la stupenda Via delle Scalette, ripida scalinata che dal castello scende “aerea” al Belvedere, da cui la vista spazia sconfinata fino al mare, offrendo un quadro dettagliato del territorio dal Circeo ai Colli Albani: notevole appare purtroppo l’espansione edilizia dei centri della pianura, seppure meno disordinata che altrove.
Cuore del paese è comunque Piazza del Popolo, luogo prediletto per rilassarsi davanti ad una tazza di caffè, mentre poco più in là si innalzano le pittoresche arcate gotico-rinascimentali della Loggia dei Mercanti (XV sec.), uno dei simboli di Sermoneta. Nelle vicinanze è poi il ghetto ebraico con la sua Sinagoga, bell’edificio tardo-duecentesco che testimonia la presenza di una cospicua comunità giudaica tra il XIII e il XVI secolo e conferma l’importanza di Sermoneta nel Basso Medioevo: è questo uno degli angoli più caratteristici del borgo, in un dedalo di vicoli angusti e a volte strettissimi; a pochi metri dalla Sinagoga è un curioso museo di presepi automatizzati. E sempre in tema di musei, da non perdere quello della ceramica, sul corso principale.
Si consiglia di visitare Sermoneta facendo attenzione ai dettagli. Sui gradini, sugli stipiti e sugli architravi delle abitazioni del borgo nonché sui sagrati di molte chiese si scorgono infatti in più punti graffiti che riportano un’iconografia misteriosa e di epoca probabilmente diversificata. Molte di queste incisioni (croci patenti, triplici cinte, ecc…), tuttavia, testimonierebbero una radicata presenza dei Cavalieri Templari nel corso del XIII secolo e del resto in tutta l’area lepina si trovano segni del loro passaggio.
Ma le sorprese di Sermoneta non finiscono qui. Subito fuori dal paese, invece, tra boschi ed uliveti, si nascondono romantiche chiese abbandonate, casali in rovina, torri dimenticate e vecchi monasteri: spicca il Convento di San Francesco, che, solitario su un’altura nei pressi del Cimitero e di un enorme leccio ultracentenario, è raggiunto da una panoramica Via Crucis. Il complesso, fondato secondo la tradizione dai Templari, appartenuto ai Cavalieri di Malta e passato successivamente ai Frati Minori Osservanti custodisce un chiostro con affreschi seicenteschi sulla vita del Poverello d’Assisi.
Sulla strada per Bassiano, invece, si trova un altro monumento prestigioso: l’Abbazia di Valvisciolo. Eretta nel Trecento dai monaci cistercensi in uno stile gotico di derivazione francese, conserva un suggestivo chiostro e anch’essa serberebbe segni evidenti della preesistenza dei Templari in questa località: una vecchia leggenda sostiene addirittura che vi si celi il loro fantastico tesoro.
Più avanti si può raggiungere anche la magnifica “città fantasma” di Ninfa, col suo giardino all’inglese, altro luogo di straordinaria suggestione che vale di per sé un viaggio. Per approfondimenti sui misteri di Sermoneta e dintorni si faccia riferimento alla nostra guida “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”.
Arte, natura, storia e folklore, dunque, in una cittadina che ha saputo non soltanto difendere le proprie radici ma anche e soprattutto valorizzarle in chiave turistica, come dimostra il riconoscimento della “bandiera arancione”, prestigioso “marchio di qualità” per l’entroterra italiano assegnatole del Touring Club Italiano. E ciò anche grazie ad un calendario di eventi ricco ed stimolante: dal Maggio Sermonetano al Palio della Madonna della Vittoria (rievocazione della vittoria nella Battaglia di Lepanto, cui partecipò Onorato IV Caetani) e all’ormai noto Festival Pontino di Musica, che vede intervenire artisti di fama mondiale.
Infine, un’ultima chicca, ossia lo storico gruppo di sbandieratori di Sermoneta, conosciuto ed apprezzato a livello nazionale, ennesimo esempio di come le tradizioni medievali siano qui tutt’oggi straordinariamente fulgide e sentite. Ma è soprattutto l’alta qualità della vita a far di Sermoneta un modello da imitare, a dimostrazione del fatto che oggi, per chi ne abbia la possibilità, sia preferibile abitare in paesi tipo Sermoneta anziché negli anonimi palazzoni di degradate periferie.
I Monti Lepini e la riscoperta di un’antica civiltà rurale
I Monti Lepini si innalzano, estesi ed imponenti, dalla Valle del Sacco a nord-est e dall’Agro Pontino a sud-ovest, a cavallo fra le province di Roma, Frosinone e Latina. Fanno parte della catena dell’anti-Appennino laziale, in cui rientrano i più meridionali Ausoni ed Aurunci. Un’area naturale di grande valore, tutelata da SIC e ZPS all’interno della Rete Natura 2000 dell’U. E., fra le più importanti del Lazio intero, malgrado la scarsa notorietà turistica sia a livello nazionale che regionale.
Il massiccio culmina nel Monte Semprevisa, che con i suoi 1536 m. domina l’Agro Pontino: rivestito di foreste e spesso innevato durante l’inverno, a vederlo dal mare offre un affascinante contrasto visivo con l’ambiente del tutto diverso della costa.
Nonostante le forme piuttosto arrotondate, ad un primo sguardo queste montagne non presentano quasi mai un paesaggio dolce. Brulle pietraie caratterizzano le creste montuose e la stessa cosa avviene alle quote meno elevate in tutto il versante pontino. Le pendici dei rilievi presentano una campagna coltivata per lo più ad uliveti e frutteti su spettacolari e interminabili terrazzamenti, che cede poco alle arature e ai seminativi.
Fanno eccezione, nel “recinto pedemontano”, le colline interne fra Artena e Colleferro e quelle, splendide, di Giulianello (che fanno da corona all’omonimo lago), i prati della Val Suso presso Sezze, oppure alcune aree agricole del versante ciociaro (Gavignano, Sgurgola, Morolo) e della Valle dell’Amaseno (al confine con i Monti Ausoni) che ripropongono il classico scenario rurale del Lazio dei campi di grano e foraggio intervallati a pascoli punteggiati di greggi e querce solitarie.
Ma salendo sui monti prevalgono nettamente la pastorizia e l’arcaico paesaggio di pietraie e foreste che lasciano inaspettatamente il posto ad ampie ed assolate pianure carsiche.
Queste ultime sono un po’ la specificità dei Lepini e li accomunano ad un altro importante massiccio laziale, quello dei Simbruini, che corre quasi parallelo a nord-est e che nelle giornate limpide si lascia ammirare – insieme ai contigui Ernici – con le sue vette innevate per molti mesi all’anno.
Altopiani carsici come il Campo di Segni, il Campo di Montelanico, il Pian della Croce presso Supino, il Pian della Faggeta presso Carpineto, i Piani del Lontro presso Gorga, Campo Rosello presso Bassiano, ecc… offrono veri e propri “quadri” bucolici con un paesaggio pastorale d’altri tempi che negli ultimi anni si sta cercando di recuperare e valorizzare nei suoi aspetti insediativi tradizionali (fienili, “lestre”, muretti a secco, ecc…).
Le verdi praterie permettono l’incontro con bovini, equini e suini tenuti per lo più allo stato brado, sfruttando così l’immensa ricchezza vegetale dei terreni, ciò che incide positivamente sull’altissima qualità delle carni e dei formaggi qui prodotti. Più timida la fauna selvatica, decimata dalla caccia, che comunque include una notevole varietà di rapaci e mammiferi: si parla anche dello sporadico passaggio del lupo appenninico.
Su questi magri alpeggi l’acqua è pressoché assente, se non nei piccoli volubri e nelle rare risorgenze, fatto causato dalla natura carsica dei terreni. Del resto i pianori dei Lepini, oltre ad essere di notevole valore paesaggistico, costituiscono uno straordinario patrimonio geologico, offrendo tutti gli aspetti del carsismo “maturo”: inghiottitoi, campi solcati, pinnacoli rocciosi, grotte, ecc.. Un complesso, questo, ancora da esplorare e tutto da valorizzare.
Un’altra peculiarità dei Lepini sono senza dubbio i boschi. Vasti, fitti, selvaggi, comprendono tutti gli strati della macchia mediterranea fino alle più elevate faggete. Fioriture di orchidee e stupendi esemplari secolari di faggio, acero, cerro e tasso riempiono gli occhi dei camminatori che sempre più numerosi frequentano nel fine-settimana queste montagne.
La morfologia complicata dei rilievi rende però le selve ambienti in cui non è difficile smarrire il sentiero e perdersi: le cupe faggete, ad esempio, quando le luci del tramonto iniziano ad abbandonarle, diventano luoghi in cui orientarsi può essere complicato se non si conoscono bene i percorsi, anche perché quasi totale è l’assenza di presenza umana e di riferimenti antropici.
Di quota modesta e quasi prive di pareti imponenti e torrioni rocciosi, le cime dei Lepini sono state snobbate per molti anni dall’escursionismo romano, rimasto a lungo orientato verso le grandi montagne abruzzesi. La situazione è oggi radicalmente cambiata e queste piccole “vette” sono molto apprezzate per la vastità dei panorami e per l’integrità degli ambienti naturali che si attraversano per raggiungerle: fra le principali si segnalano, oltre al già citato Monte Semprevisa (che dal versante di Pian della Faggeta riserva una delle escursioni più interessanti e complete del massiccio), i monti Malaina (1480 m.), Gemma (1457 m.), Croce Capreo (1421 m.), Lupone (1378 m.) ed Erdigheta (1336 m.), mentre minore come altitudine ma assai pittoresco è il Monte Cacume (1095 m.), dal nome buffo e dall’inconfondibile forma piramidale.
Sempre più siti internet e associazioni escursionistiche includono i Lepini come meta di gite e trekking: segno, questo, di una “maturazione” avvenuta nel mondo dell’escursionismo negli ultimi tempi, di cui è prova il vero e proprio “boom” dei percorsi a bassa quota e dei “cammini” (fra l’altro nei Lepini passa il tracciato della cosiddetta “Via Francigena del Sud”, così chiamata poiché va a congiungere Roma con Brindisi, ove nel Medioevo i pellegrini si imbarcavano per la Terra Santa).
Evidentemente la mentalità dell’escursionismo contemporaneo sta cambiando: molti stanno abbandonando l’ideologia “alpinistica”, per cui solo montagne di una certa forza evocativa e di una certa altitudine sarebbero “degne” di essere percorse, e stanno iniziando a giudicare l’interesse degli itinerari dalla ricchezza naturalistica, ambientale, culturale, antropica dei luoghi, al di là della “quota”.
Infine i paesi. Sono molti e quasi sempre di remota origine. Sembra infatti che le civiltà più antiche avessero già prescelto questi luoghi come perfetti per abitarvi. I Volsci, popolazione italica di incerta provenienza (forse umbra), edificarono città dalle mura possenti ed invalicabili, dette dagli studiosi di archeologia “megalitiche” (o “poligonali”) per l’essere costituite appunto di giganteschi poligoni litici lavorati ed incastrati alla perfezione “a secco”, cioè senza l’uso di malta, secondo una tecnica ingegneristica ancor oggi sconosciuta. Nel corso già dell’epoca romana queste architetture furono oggetto di mitizzazione (ma anche di pragmatico riutilizzo), essendo ritenute opera di “giganti”: i cosiddetti “ciclopi” di omerica tradizione, giunti qui da chissà dove. Alcuni conferiscono la loro origine (o la loro dedica) al Dio Saturno, secondo una leggenda complicata quanto affascinante di posizionamento non casuale di queste città, corrispondente cioè alla forma di determinate costellazioni.
Molto si potrebbe scrivere – e molto abbiamo già scritto e continueremo a dire a tal proposito – su queste costruzioni straordinarie che si estendono per tutta la Ciociaria – celebri le “mura poligonali” di Alatri, Ferentino, Veroli e Arpino – con testimonianze importanti anche nelle zone e nelle regioni limitrofe, in particolare nell’area pontina, in Sabina e nell’Umbria meridionale (a Spoleto e ad Amelia). Qui sui Lepini si conservano alcuni degli esempi più notevoli di “mura ciclopiche” in Italia: a Cori (dove è ben visibile tutto lo sviluppo storico dei vari periodi delle mura megalitiche, da quelle più arcaiche a quelle d’epoca romana), a Norba (abbandonata in epoca sillana dopo un tragico suicidio di massa) e a Segni (spettacolare la cosiddetta “Porta Saracena”).
Terminata l’epoca romana, questi vetusti siti, che in parte non furono mai abbandonati, tornarono molto utili contro le scorribande barbariche e più in là contro la minaccia araba. La loro posizione arroccata, spesso a strapiombo di rupi altissime, gli permise di rafforzarsi in epoca medievale sia come baluardi dello Stato della Chiesa, a cui sempre appartennero, sia come feudi dell’aristocrazia romana.
Nel Basso Medioevo si costituirono talvolta dei liberi Comuni, di cui rimane traccia nei palii, nei cortei in costume e nelle tradizioni civiche che ancor oggi segnano la storia e la vita culturale di queste comunità. Interessanti anche le manifestazioni di carattere religioso, fra cui spicca la Passione Vivente di Sezze.
E’ una religiosità molto sentita quella delle popolazioni lepine. E forse non è un caso se qui si installarono diverse comunità monastiche, di cui i simboli sono senz’altro le abbazie cistercensi di Valvisciolo e Fossanova. Quest’ultima, vero capolavoro d’arte gotico-cistercense, dichiarata “attrattore culturale” dalla Regione Lazio, sorge un po’ defilata, in pianura, verso Priverno: vi morì San Tommaso d’Aquino e la sua creazione costituì forse il primo tentativo in assoluto di bonifica delle paludi pontine nel Medioevo. Entrambe le abbazie serbano leggende e tracce esoteriche, per cui rimandiamo al nostro libro “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”.
Tornando ai paesi, dal punto di vista artistico e ambientale primeggia nettamente la magnifica Sermoneta, uno dei borghi più suggestivi ed integri del Lazio, ancora circondato da mura medievali e rinascimentali: da non perdere il poderoso Castello Caetani, importante monumento dell’architettura militare italiana. Similmente a Valvisciolo e Fossanova, il centro storico custodisce svariati segni e simboli di natura occulta e forse templare, la cui interpretazione è stata affrontata sempre nella nostra guida.
A Sermoneta contenderebbe lo scettro di bellezza la romantica Ninfa, se non rientrasse in un’altra categoria, quella cioè delle “città morte” (al pari della già citata, e più antica, Norba). Adagiata i piedi dei Monti Lepini, nell’angolo più bello della Pianura Pontina, Ninfa con suo giardino “all’inglese” e il suo laghetto sorgivo è assolutamente una delle meraviglie d’Italia e di per sé merita un viaggio. Anch’essa fu feudo dei Caetani (il cui castello domina le rovine), di cui rimase sempre proprietà privata fino all’estinzione della casata: in tempi recenti, una fondazione si occupa della sua manutenzione e delle visite.
Altri gioielli sono senza dubbio Bassiano, ancora cinta di mura medievali, patria dell’umanista Aldo Manuzio, Prossedi, dominata da un elegante palazzo-castello, e i “paesi-presepio” di Patrica, Artena e Sgurgola. Affascinante anche il centro medievale di Carpineto Romano, ingentilito da raffinate abitazioni e oggi in via di ristrutturazione, ma purtroppo, come altri borghi lepini, affiancato da una brutta espansione anni ’70-’80: problema che affligge anche la vicina Segni, ricca di monumenti e archeologia, il suggestivi borghi di Maenza e Roccagorga e soprattutto Sezze, il cui abitato storico, peraltro di notevole interesse, appare ormai come inghiottito dalle costruzioni degli ultimi decenni.
Il territorio intorno ai Monti Lepini, del resto, ebbe a soffrire nel Dopoguerra uno sviluppo industriale disordinato e speculatorio che ebbe ripercussioni sociali ed urbanistiche anche sugli antichi villaggi d’altura, rimasti da un lato fedeli ad una civiltà arcaica e dall’altro attratti da una “modernità” abbagliante quanto cieca, basata cioè su un concetto di “comodità”, di sviluppo “rapido” e meramente quantitativo che si è poi protratto sino ad oggi.
Queste contraddizioni sono visibili quando ci si affaccia sulle piane, in più punti martoriate da capannoni, cave, impianti fotovoltaici, ecc… che di colpo cedono il passo alle pendici intatte dei monti; eppure in basso resistono, a tratti, zone agricole di assoluta bellezza, ma ancora prive di una reale salvaguardia: “terreni” non “territori”! Si auspica a riguardo l’istituzione, quanto prima, di una serie di parchi agricoli a loro tutela e promozione.
Oggi tuttavia la crisi economica in atto a livello nazionale (ed oltre) sta risvegliando nuovi modi di pensare l’avvenire, e molti di questi paesi si stanno riappropriando di tradizioni e mestieri fino a pochi anni fa dati per spacciati: in questo senso proprio la pastorizia appare con tutta la sua forza trainante, in particolare verso i giovani. Come altri territori, anche i Lepini insegnano che non potrà esservi futuro se non nel solco di una rinnovata tradizione, che è lì, solida, pronta all’uso, e attende soltanto di essere riscoperta.
Inoltre, una maggiore consapevolezza delle risorse paesaggistiche, enogastronomiche e culturali del territorio si sta facendo largo nella popolazione: non a caso stanno aumentando i b&b e gli agriturismi, fino a poco tempo fa rari da queste parti. Il pane e il vino di Cori, il prosciutto crudo di Bassiano, le olive da tavola di Rocca Massima, un olio extravergine di oliva dovunque di altissima qualità e tanto altro ancora sono alcune delle eccellenze già riconosciute a livello nazionale su cui può far leva lo sviluppo agricolo lepino e quindi il rilancio dell’economia locale.
Si auspica insomma una rinascita di questa sorta di “isola” di autenticità e civiltà vera – seppur sopita – all’interno di un mare di “modernità”, quella delle pianure industrializzate e urbanizzate, falsa e ormai declinante, e in ultima analisi già vecchia.
Veduta da lontano di Bassiano
Veduta da lontano del piccolo borgo di Bassiano, adagiato in una serena vallata dei Monti Lepini. Meno nota della vicina, magnifica Sermoneta, Bassiano offre comunque un centro storico suggestivo e ben tenuto, ancora racchiuso da mura medievali. Nel vicino Santuario del Crocefisso si custodiscono, all’interno di una grotta, tracce della presenza templare e di una piccola comunità eretica: per saperne di più si faccia riferimento al nostro libro “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”.
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