Archivi categoria: Immagini e pensieri

Il “Paradiso rivoluzionario” di Ninfa

Ninfa – luogo a noi carissimo – è oggi un luogo concettualmente rivoluzionario. Le struggenti rovine due-trecentesche (descritte dal Gregorovius, nell’Ottocento, come la “Pompei del Medioevo”), avvolte da un giardino “all’inglese” fra i più romantici al mondo, formano uno scenario di disperata bellezza, concepito nei primi del Novecento dal genio paesaggistico di Lelia Caetani e, prima di lei, dal gusto floristico della madre Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani. Qui il valore della Bellezza estetizzante è elevato ad elemento primario che – come la “donna angelicata” per gli stilnovisti – sa avvicinare al Divino gli animi sensibili, oltre ad essere fonte di ispirazione per opere artistiche e letterarie. Un luogo “rivoluzionario”, dicevamo, poiché in un’epoca sempre più dominata dal gretto materialismo meccanicista e scientista, con l’ideologia del “funzionale tecnologico” che sottomette e deride come “superstizione” ogni valore spirituale e sentimentale, in primis quello della Bellezza (sfociando sempre più marcatamente nel Transumanesimo totalitarista, con lo strumento-tecnologia che diviene fine e addirittura divinizzato), Ninfa ricorda che c’è stata gente – e c’è ancora – la quale crede in valori e concetti assolutamente contrapposti. Laddove la “filosofia” pragmatica e neopositivistica (e neoliberistica, ovviamente, poiché tutto l’orrore si regge solo sul capitalismo consumistico) spinge l’uomo sempre più a “campare”, Ninfa – con i suoi colori, i suoi profumi, i suoi “quadri” – ci ricorda come “vivere” sia ben altra cosa e come la Bellezza ne sia parte fondamentale. Mentre dalla nostra parte se non c’è Dio c’è senz’altro la Natura, dalla parte loro può esserci soltanto Satana o il nichilismo.


L’Etruria della Tradizione

Come sempre i Monti della Tolfa sorprendono ed ammaliano. Ecco qui la Valle del Mignone, in uno dei suoi tratti più scenografici e dai “grandi spazi”, che appare improvvisamente da un poggio nei pressi di Civitella Cesi, a pochi passi dalla solitaria strada che conduce a Rota. Si ha quasi l’impressione – ad un primo sguardo fugace e superficiale – di una valle incontaminata ed inesplorata ma a guardar bene è proprio l’impronta umana ad aver plasmato questo scenario. Un paesaggio che rivela l’anima più tradizionale del Lazio, quella Tradizione – con la T maiuscola – cioè che dimostra da millenni la possibile coesistenza fra Uomo e Natura, miracolo che oggi una certa propaganda “progressista” (o sarebbe meglio dire “transumanista”) vorrebbe bocciare come impossibile. Non è un caso infatti che queste agende “green” – che di verde non hanno nulla, anzi che il verde lo fanno sparire – si accaniscano oggi proprio contro questi paesaggi culturali così intatti, evidentemente per toglierci – oltre che la nostra terra e il cibo sano – anche la prova storica delle loro menzogne.


“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 3

Ed eccoci giunti alla terza ed ultima puntata di questo nostro anomalo viaggio indietro nel tempo. Con la seconda parte ci eravamo spostati verso sud-ovest (nelle località di Pian di Vico e San Giuliano) ed ora continueremo in quella stessa direzione sfiorando suggestive località come Formicone, Castel Ghezzo, Pian dell’Arcione. Ci troviamo nella porzione più solenne e panoramica della “zona sacrificabile” (e ormai “sacrificata”): un paesaggio dai “grandi spazi” che poco aveva da invidiare ai più celebrati panorami agresti della contigua Toscana, e che custodiva l’anima più vera della civiltà rurale della Tuscia e un potenziale tutto da sviluppare per l’economia locale. Viaggiare sulla sp4 da Tuscania a Montalto equivaleva infatti ad immergersi in una vera e propria “galleria” di scorci mozzafiato in una campagna pressoché incontaminata. Oggi, tuttavia, questa è proprio la direttrice lungo cui la speculazione energetica e la conseguente distruzione hanno raggiunto livelli parossistici. Un paesaggio che da verde (qual era) si sta trasformando in “green”, o più precisamente in “orange”, visti attualmente i numerosi cantieri aperti con relative reti arancioni dei lavori in corso: molti dei terreni che vedrete in foto non esistono più. Un territorio letteralmente fatto a pezzi, un disastro ambientale senza precedenti per la Tuscia Viterbese, le cui responsabilità hanno innominabili nomi e cognomi e coinvolgono una buona parte della politica locale e regionale. Percorrere la stessa strada a distanza di qualche anno, soprattutto da Montalto verso Tuscania, per via delle particolari prospettive visive, significa potersi rendere conto di come un patrimonio collettivo inestimabile (fatto di paesaggio e cultura, economia e turismo e soprattutto di TERRA) sia stato spazzato via e sostituito da un qualcosa che non somiglia più a nulla se non a un incubo distopico. Ricordiamoci insomma con le seguenti immagini di quanto era bella la Tuscia e di quale bene prezioso è stato sottratto al popolo italiano.

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

TORNA ALLA PARTE 1  TORNA ALLA PARTE 2


“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 2

Dopo la prima parte di questo nostro drammatico itinerario, ecco che ora andiamo ad “esplorare” la zona - attraversata dall’antica Via Clodia – che forse offriva – e in parte offre ancora – le emozioni più intense e la campagna più pittoresca. Siamo nel Comune di Tuscania, dai grandi spazi pianeggianti di Pian di Vico – luogo del discusso (e scandaloso mega) impianto fotovoltaico, ora in costruzione – alla località di San Giuliano, con le sue magnifiche ondulate colline che preannunciano le più celebrate icone paesaggistiche della Toscana “ideale”. Casali, ville e fattorie completano il quadro di una porzione di territorio che, malgrado l’invadente presenza degli impianti energetici, ha conservato quasi intatto l’assetto insediativo storico e che negli ultimi anni aveva iniziato a farsi conoscere anche per alcune iniziative positive, come la coltivazione della lavanda. Buona visione!

—–

—-

—-

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–


“Paesaggi fantasma” d’Etruria: viaggio nella “zona sacrificata” per non dimenticare – parte 1

 Cosa sono i “paesaggi-fantasma”? Sono quei paesaggi che semplicemente non esistono più. “Morti” che riappaiono di tanto in tanto con brevi scorci e finestre visive che ci fanno rammentare come fossero quando erano “vivi”. A questo punto ci potreste chiedere: si tratta di foto molto vecchie dunque? No, nient’affatto. Gli scatti che presentiamo in questa serie di articoli sono stati realizzati fra il 2019 e il 2021, nel periodo della cosiddetta “seconda ondata” del “Green” nella Tuscia (la prima avvenne nel 2009-2011, esattamente 10 anni prima). Eppure da quel momento ad oggi tanto è già cambiato. Molti degli scorci che vedrete non esistono più o sono stati pesantemente deturpati, oppure stanno per esserlo, poiché quasi ogni mese si apre un cantiere nuovo. O, ancora, si tratta di ritagli vedutistici che sono stati circondati dallo sprawl energetico; Infatti oltre agli impianti in sé, grandissimo impatto hanno avuto anche i nuovi elettrodotti, le nuove strade, le nuove sottostazioni elettriche, in un caos visivo ed elettromagnetico il cui impatto sulla stessa salute (psico-fisica) umana ed animale non è stato preso minimamente in considerazione – così come l’impatto sulle dinamiche sociali ed economiche locali.
 Il nostro lavoro fotografico si è concentrato sulla cosiddetta “zona sacrificabile”, un territorio completamente inesplorato dal punto di vista turistico e fotografico, una fascia dolcemente collinare di origine vulcanica che digrada dai Monti Volsini occidentali (Lago di Bolsena) sino alle porte di Canino. Una campagna verde, solare e armoniosa, un inno alla vita che prende il cuore. “E perché sacrificabile?” – direte voi. E’ un’espressione polemica coniata da noi pochi resistenti, che abbiamo provato a sensibilizzare l’opinione pubblica, fra cui va citato in primis l’amico Adrian Moss, con il quale abbiamo realizzato questi reportage. Reportage che oggi appaiono come preziose testimonianze storico-documentarie di un paesaggio ormai deturpato o letteralmente cancellato – nel giro di pochissimi anni. Se in tutto il Viterbese si sono infatti moltiplicati in questi anni progetti energetici – spesso di imponenti dimensioni – senza alcuna valutazione del cumulo, in un’anarchia autorizzativa che non ha paragoni in Europa e che meriterebbe un’inchiesta, è proprio in questa zona che tale follia “green” si è particolarmente “scatenata”, per via di una serie di motivi tecnico-logistici, geomorfologici e socio-economici. E’ per questo che subito un’area così vasta e così integra ci è apparsa di fatto sacrificabile con grande disinvoltura da una popolazione silente e da istituzioni tutte allineate nell’avallarne la distruzione, senza che nessuno (tranne le opposizioni e le proposte di vincolo della Soprintendenza, la denuncia di Italia Nostra e gli allarmi lanciati dall’Ispra circa il consumo di suolo che si stava verificando) si preoccupasse di tutelarla. Eppure si trattava di un territorio di straordinario valore agricolo (dalle foto vedrete che si tratta di terreni assolutamente produttivi) ma anche estetico e culturale, pertanto dal grande potenziale turistico: fino al 2009 – fatidico anno d’inizio dell’aggressione “green” – questo era un vero e proprio “paradiso rurale” che avrebbe fatto la felicità di investitori italiani e stranieri, con casali e case nei centri storici che oggi avrebbero goduto di una notevole rivalutazione immobiliare. E invece assistiamo ad un danno patrimoniale diffuso di milioni di euro che mai nessuno risarcirà. Nulla infatti è stato rispettato: dalle distanze da abitazioni, siti archeologici, costruzioni storiche, sic e zps, alla dignità di una terra e della sua gente.
 Senza voler approfondire il mare di menzogne pseudoscientifiche che si cela dietro a chi ha promosso, autorizzato e giustificato questo scempio a tutti i livelli, e al di là del falso ambientalismo salottiero e ideologico (se non colluso) incarnato da alcune grandi associazioni “verdi” (italiane e internazionali) con i loro dati astratti e non veritieri e con le loro statistiche e proiezioni catastrofistiche tutte da dimostrare (anzi, finora sempre dimostratesi, nel corso degli anni, fallaci e ridicole), ci è sembrato doveroso mostrare concretamente cosa stiamo perdendo o abbiamo già perduto nel più assordante silenzio generale, compreso quello del mondo dell’escursionismo (mostratosi timoroso o quanto meno superficiale di fronte a codesto massiccio attacco) e di quello intellettuale (o presunto tale). Altrimenti il senso di responsabilità nell’aver accettato tutto ciò, tacitamente o perfino plaudendo, non verrà mai stimolato, se mai possa essere stimolato in molte menti ormai completamente “lavate” dalla propaganda “green”. Insomma: avete applaudito o taciuto di fronte a questo “sviluppo green” ideale e astratto che però andava a stravolgere territori concreti e le vite reali di numerose persone? Ebbene, almeno sappiate cosa avete contribuito a distruggere, in modo tale che un domani quando non ci sarà più nulla e tutti si chiederanno esterrefatti “ma come è stato possibile?”, voi non potrete dire: “io non sapevo”. Se non lo sapevate eravate ignoranti: di un’ignoranza nera, quella di chi non conosce minimamente il proprio territorio. Se invece lo sapevate, siete stati di fatto complici. Tertium non datur. Di fronte a tale abominio il silenzio non ha scusanti. Del resto si trattava di un patrimonio collettivo irriproducibile – formalmente tutelato dalla Costituzione all’art. 9: un “bene comune” sacrificato – appunto – a vantaggio di pochissimi arroganti speculatori.
 Procedendo da nord verso sud in questo nostro anomalo (e struggente, per gli animi sensibili) itinerario, in questa prima “puntata” apriremo una panoramica sul territorio fra la Strada Piansanese (che collega Piansano e Tuscania) e la Strada Trinità (grosso modo tra Marta e Tuscania): paesaggi antichi e di sommo valore identitario per il Lazio, basati sulla rotazione colturale (pascolo, cereali, ortaggi foraggio, incolti – seminativi e coltivazioni arboree), segnano questa zona, che si era perfettamente conservata sino a pochi anni fa e in parte lo è ancora, nonostante l’ingombrante presenza, sull’orizzonte, di numerose pale eoliche e, sparsi, qua e là di alcuni mega impianti fotovoltaici. Siepi, casali in pietra, querce camporili, muretti a secco e fontanili, compongono i dettagli che rendono questa zona tuttora, a tratti, incantevole. Buona visione… – VAI ALLA PARTE 2.

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–

—–


Auguri di Buon Natale 2023!

Tanti auguri di Buon Natale da Luca e Daniela ai nostri lettori! (Nella foto: il bellissimo albero natalizio di Torre Alfina).


Panorama da Farnese sulla Selva del Lamone

Passeggiando per il piccolo borgo di Farnese, ad un certo punto si apre improvvisamente un panorama mozzafiato sulla Riserva Naturale della Selva del Lamone, caratterizzata da un paesaggio incontaminato e misterioso – reso ancor più suggestivo dai colori di fine autunno. Foresta tuttora “aspra e forte” che fu rifugio di santi e briganti, come spesso accadde nel Lazio (e non solo) in luoghi così isolati e selvaggi: scelte apparentemente antitetiche ma accomunate dal desiderio di una vita senza compromessi, che forse – in un’epoca come la nostra dominata dal conformismo e dalla banalità – possono risultare incomprensibili quanto affascinanti.


Tramonto della distopia apocalittica nella Tuscia

Il tempo dei grandi spazi incontaminati della Maremma Viterbese è finito. Stuprata in lungo e largo dalla speculazione energetica, “green” e non, oggi questa vasta parte della Tuscia ci “regala” – suo malgrado – scenari di interesse estetico industriale: agghiacciante, apocalittico, distopico, quasi da film come “Terminator”… Sarà questo energy horror landscape la sua vocazione futura? La cosa più impressionante è riflettere sul fatto che un intero territorio è stato stravolto, nel giro di qualche anno, non già da una “volontà popolare” (i cittadini sono rimasti a lungo per lo più silenziosi o indifferenti) ma da un manipolo di persone, fra tecnici e funzionari: in una “democrazia” tutto ciò è normale?


L’entroterra di Pescia Romana

Ampi spazi intatti nella Maremma Viterbese al confine con la Toscana, miracolosamente scampati alla furia devastatrice del (truffa)”Green”, sorta di “Nulla” di “endiana” memoria, che tutto divora e spazza via. Qui siamo nel pregiato e poco conosciuto entroterra di Pescia Romana (frazione di Montalto di Castro), nota stazione balneare che tuttavia offre spunti rurali non indifferenti, con in bella vista le ormai vicinissime alture di Capalbio, scure di leccete e macchia mediterranea. Magnifici i tramonti da questa zona, ove sembrano riecheggiare i versi immortali del Cardarelli, grande “cantore” della Tuscia: “Qui rise l’Etrusco, un giorno, coricato, cogli occhi a fior di terra, guardando la marina”… Nelle immediate vicinanze è Vulci, luogo di antiche e misteriose memorie.


La Cascata del Mulino a Corviano

Ai piedi dell’insediamento preistorico, etrusco e medievale di Corviano (nei pressi di Vitorchiano), scroscia la pittoresca Cascata del Mulino, sul Torrente Martelluzzo, affluente del Vezza. Per la sua valenza storico-naturalistica questa zona è oggi ricompresa in un “monumento naturale”. Luoghi colmi di fascino e mistero ove l’uomo nelle epoche passate seppe creare un equilibrio (oggi impensabile) fra le risorse ambientali e le proprie attività indispensabili. Del resto, a quel tempo non esistevano né capitalismo né consumismo e il “liberismo” era del tutto sconosciuto…


L’arte della rilegatura medievale a Soriano nel Cimino

Un momento del “mercatino medievale” allestito per la Sagra delle castagne (edizione 2022) a Soriano nel Cimino, in cui valenti artigiani hanno riproposto antichi e preziosi mestieri ormai perduti. Uno dei questi è la rilegatura manuale, qui rievocata con una tecnica utilizzata dai monaci delle abbazie. Dopo due anni di chiusure e restrizioni, finalmente questi eventi tradizionali delle piccole comunità ricominciano a svolgersi con stabilità. E sono a nostro modo di vedere importantissimi sia quali collanti identitari locali sia come recupero di saperi ormai non più “al passo coi tempi” e che per questo rischiano di essere del tutto dimenticati. Eppure, in un’epoca come l’attuale in cui troppi hanno in bocca a sproposito parole come “green” o “sostenibilità”, le conoscenze di un passato che spesso – con tracotanza e ubriacati di tecnoscientismo – noi “moderni” giudichiamo “rozzo” e “primitivo” si impongono in tutto il loro valore ecologico e culturale ed “evolutivo”. A scoprire quante cose conoscevano gli artigiani del Medioevo, di quanta sapienza fossero depositari, ci sentiamo piccoli piccoli: noi che – grazie alla tecnologia contemporanea (informatica e robotica in primis) – tendiamo purtroppo sempre più a poter far di tutto senza saper fare quasi più niente. Nella fattispecie, l’immagine ci riporta a un tempo – che invero si è protratto sino ai giorni odierni – in cui tutti i documenti (e i libri) erano cartacei, dunque archiviabili da qualche parte materialmente (in sicurezza), mentre oggi anno dopo anno ogni documento è prodotto e archiviato in formato digitale. E se qualcuno un giorno premesse un bottone e ci privasse della corrente elettrica e della nostra tecnologia così “avanzata” nonché dei nostri documenti? Ci avevate mai pensato?


Finestra sul paesaggio sabino

La Sabina offre di continuo “quadri” paesaggistici incantevoli, in un’atmosfera che infonde serenità e un senso di profonda spiritualità. Una delle zone più piacevoli e facilmente raggiungibili è senz’altro la Sabina Tiberina, oggi in via di notevole rivalutazione, con un mercato immobiliare assai vivace. Gli argentei uliveti, i verdi pascoli e i coltivi, le scure chiome dei cipressi e dei lecci, i viali di querce, le ville e i casali in pietra caratterizzano in particolare la porzione settentrionale del comprensorio, in direzione del confine con l’Umbria, regione di cui ripetono molti stilemi (avendone del resto la Sabina fatto storicamente parte sino a tempi piuttosto recenti). Percorrendo con l’auto queste splendide e tortuose strade il fotoamatore dovrebbe fermare il mezzo di continuo, a causa della quantità (e della qualità) degli scorci che invitano ad uno scatto. In realtà queste colline baciate da Dio – e in cui risuona tuttora la parola di San Francesco – vanno esplorate possibilmente a piedi, ricalcando con la lentezza dei propri passi gli altrettanto lenti ritmi che contraddistinguono le silenziose campagne sabine. Qui, dove l’uomo ha saputo rispettare la “terra” così come le proprie radici rurali, in un’ottica tradizionalista e conservatrice di cui solo adesso riusciamo a capire il valore e la lungimiranza. Sta di fatto che ogni volta torniamo da questi territori “ricaricati” di una speciale energia positiva, che speriamo anche i nostri lettori vadano a godere di persona – magari approfittando proprio del suggestivo periodo autunnale.


“La Strage degli Innocenti” a Montefiascone

Un particolare toccante dell’affresco, probabilmente trecentesco, che ritrae la Strage degli Innocenti, nella romanica Chiesa di San Flaviano a Montefiascone: situata proprio sulla Francigena, si tratta di un monumento che incanta per la bellezza – ancora poco conosciuta – dei suoi cicli pittorici. Un’immagine che nel suo significato risulta sempre attuale, poiché oggi come in passato il Potere non si fa certo scrupoli di trucidare innocenti per raggiungere i propri scopi.


Profili settembrini nella Riviera d’Ulisse

Quanto è malinconico il mare a settembre! L’estate è come se fosse già finita, tutti o quasi rientrano ai loro impegni lavorativi e i borghi marinari si svuotano rapidamente. Le perturbazioni iniziano a farsi rivedere dopo i mesi più caldi ed ecco che i cieli diventano più movimentati e drammatici. Qui uno scorcio della magica Riviera d’Ulisse, uno dei tratti più belli (anzi, forse il più bello in assoluto) di tutta la costa laziale, con il profilo di Sperlonga, vera “perla” amatissima dai turisti, e, sullo sfondo, i profili morbidi dei Monti Ausoni.


Il Cimitero del Commonwealth presso Montefiascone

Lo struggente e malinconico Cimitero del Commonwealth, lungo la Cassia, fra Bolsena e Montefiascone. Vi riposano oltre 600 salme di soldati alleati caduti durante gli scontro con l’esercito tedesco nel 1944. Situato su una magnifica collina in vista del lago, si tratta davvero di un luogo da visitare “in punta di piedi”, che invita alla riflessione: fuori dalla banale retorica istituzionale dei “caduti per la Patria”, noi preferiamo ricordare queste anime come vittime di immani menzogne (o di brutali coercizioni), le stesse che il Potere sistematicamente e periodicamente impone ai popoli allo scopo di attuare i propri piani.


La Forchetta del Diavolo: una finestra sulla storia

Nota come la “Forchetta del Diavolo”, una suggestiva torre campanaria in rovina svetta fra le colline a sud-ovest del Lago di Bolsena, a poca distanza da Marta. Assieme ad altri ruderi è quel che resta del Castello di Monte Leano, insediamento medievale assai importante ma tuttora poco conosciuto. Conteso fra Tuscania e Viterbo, si pensa che il sito venne abbandonato nel 1349 in seguito a un violento terremoto. Fino a pochi anni fa tale complesso era impreziosito da una cornice paesaggistica completamente integra che colpiva lo sguardo e scaldava il cuore degli animi sensibili. Oggi purtroppo lo sfondo è squarciato da impianti energetici di ogni tipo che hanno annichilito la poesia della zona, segno di una speculazione ingorda e senza freni: un attacco senza precedenti alla nostra terra e al Creato, di cui pagheremo presto il conto sotto tutti gli aspetti.


Scorci di Maremma che scompare

Si chiude un altro anno e la speranza è che si chiuda anche questa lunga e drammatica stagione – che dura da troppo tempo – di aggressione e distruzione, a causa della speculazione energetica, di uno dei territori più belli e affascinanti del Lazio: la Maremma Viterbese. Qui ci troviamo non lontano da Tuscania, in direzione di Montalto, ove alcuni panoramici crinali – in primis quello del Formicone – donano panorami mozzafiato sul paesaggio dell’Etruria interna.


Buon Natale!

In una società ormai malata di tecno-scientismo, parlare di Natale potrebbe sembrare ridicolo. Ci rivolgiamo infatti a chi ancora non si è piegato ai nuovi “dogmi” del meccanicismo e del materialismo esasperato e viceversa conserva la propria “parte spirituale” ovvero le proprie radici culturali. A tutti voi, Buon Natale.


Orizzonti dell’anima

Un paesaggio “pulito”, nitido, vuoto di qualsiasi “infezione”: sempre più una rarità in un’epoca caratterizzata da distruzioni “colorate” di “green”… Non solo. La pulizia di quest’orizzonte – sulle colline della Teverina Viterbese – diviene spunto per “ripulire l’anima”, oggi troppo immersa in visioni ristrette e parziali oppure schiacciata da eventi che sembrano prendere una piega drammatica. Punti di vista. La verità è che la bellezza – ben espressa da questo paesaggio iconico del Lazio, con le linee ondulate ed orizzontali della Tuscia e il Soratte sullo sfondo – può esser percepita solo da chi è puro nello spirito mentre rimane del tutto trasparente a chi sia sospinto per lo più da interpretazioni materialistiche e meccanicistiche dell’esistenza. In questo momento più che mai la lotta fra il Bene e il Male è lotta fra la divinità e la spiritualità della bellezza e della libertà da un lato (l’uomo che è specchio di Dio), e dall’orrore e dalla schiavitù del tecno-scientismo dall’altro (l’abominio del transumano). Scegliamo da che parte stare: tertium non datur.


La “via cava” etrusca di Monterano

La via cava etrusca è uno dei luoghi più suggestivi di Monterano Vecchia e merita senz’altro un posto nella “top list” di questo tipo di infrastrutture tipiche dell’Etruria, assieme a quelle di Norchia, Marturanum, Castro, Pitigliano, Sorano, Sovana, ecc… Peccato che il passaggio sia da anni formalmente vietato dalla riserva naturale di Monterano, secondo un’abitudine (secondo noi discutibile poiché sostituibile con altre soluzioni di tipo giuridico) sempre più in voga nei parchi per cui si pongono divieti di accesso ovunque (lo stesso infatti vale per il Convento di San Bonaventura e per il Palazzo Ruspoli) come se tali luoghi non avessero anche in passato un fattore di pericolosità allorquando tuttavia erano aperti al pubblico e non preclusi alla visita e non erano deturpati da squallidi cartelli. Ad ogni modo, per chi voglia “prendersi la responsabilità” di percorrere la via cava resta l’emozione di accedere in un micromondo “altro” nel ventre materno della terra, pregno di fascino e di mistero.