La Teverina è un romantico lembo di Tuscia che si sviluppa a nord-est di Viterbo sino al confine con l’Umbria segnato dal “Biondo Fiume”. Attraversata, spesso di fretta, per raggiungere l’ormai celeberrima Civita di Bagnoregio, è in realtà un territorio da considerare esso stesso, nella sua interezza, come una meta turistica di pregio, magari collegandola ai prospicienti Monti Cimini e Volsini. Basti soltanto ricordare luoghi d’importanza artistica internazionale come il misterioso Sacro Bosco di Bomarzo e la vicina, elegantissima Villa Lante a Bagnaia, diverse ma entrambe fondamentali sfumature del Rinascimento laziale, o siti archeologici di estremo fascino quali la cosiddetta “Piramide etrusca”, sempre a Bomarzo, l’insediamento rupestre di Corviano e i “Sassi dei Predicatori” nei pressi di Vitorchiano o, ancora, le rovine di Ferento, con il suo teatro romano.
Proprio nel cuore di questa “micro regione”, simboleggiata dalla maestà della Valle dei Calanchi di Bagnoregio – in procinto di ottenere il riconoscimento Unesco -, si trova un’altra piccola valle di straordinaria bellezza, ossia quella che accoglie i tre borghi di Celleno Vecchia, Roccalvecce e Sant’Angelo, e che si estende a sud fino a Grotte di Santo Stefano.
Estranea fino a pochissimi anni fa a qualsiasi accenno di turismo, ha subìto negli ultimi tempi una sorta di “boom” per una serie di motivazioni interconnesse: in primo luogo, il successo del “borgo fantasma” di Celleno, promosso, valorizzato e reso attrattivo dall’amministrazione comunale e da un gruppo di prodi volontari; in secondo luogo, più recente, l’altrettanto notevole successo di Sant’Angelo, divenuto noto come il “paese delle fiabe” e ormai meta di centinaia (e forse migliaia?) di visitatori nei fine settimana; in ultima battuta, paradossalmente, la vicenda del Covid19 (con le pesanti restrizioni governative), che ha fatto “esplodere” il cosiddetto “turismo di prossimità”. Fatto sta che nel giro, grosso modo, di due anni – il 2019 e il disgraziato 2020 – si venuto a creare un flusso di visitatori di un certo rilievo che ha posto alla ribalta questo prezioso territorio.
E così questo spicchio appartato di Tuscia – “perla perduta” che tuttavia col nostro blog propagandavamo da anni – è divenuto oggi non diciamo “di moda” ma certamente ben più frequentato e apprezzato rispetto al passato. Ma cos’è che lascia immediatamente di stucco chi scopre per la prima volta questo nuovo “Eldorado” del turismo culturale, ambientale ed “esperienziale” dell’Alto Lazio? Sicuramente il paesaggio. Un paesaggio unico: articolato, straniante e misterioso: qui la dolce campagna del Centro Italia si interrompe di continuo e bruscamente nell’intersecarsi di una serie di vallette, ove i coltivi, i boschi e i burroni sembrano formare una sinfonia visiva che ha qualcosa davvero di magico. Sia essa data dalle brume invernali o autunnali, da cui emergono come per incanto collinette o pareti rocciose, oppure dalle delizie sensoriali primaverili allorquando i verdi prati o i ciliegi fioriti (all’inizio di aprile) riempiono di serenità lo sguardo.
Un paesaggio che andrebbe tutelato – ad esempio dal proliferare di noccioleti industriali, fotovoltaico o pollifici – e di cui gli amministratori della zona (consideriamo che Grotte Santo Stefano, Sant’Angelo e Roccalvecce sono frazioni di Viterbo) non hanno tuttora compreso il valore.
A parte ciò, a noi che ci occupiamo da tanti anni di promuovere i piccoli centri, fa piacere (e allo stesso tempo diverte) vedere lo stupore negli occhi dei visitatori che guardano i panorami solenni e magnifici che si aprono da Celleno o a Roccalvecce o quelli sfuggenti di Sant’Angelo. Del resto, riscoprire la bellezza della propria terra – come hanno fatto molti laziali chiusi nel 2021 in “zona gialla” – può riempire il cuore di un’inaspettata gioia.
Su tanto “ben di Dio” si stagliano non soltanto la storia e l’arte dei borghi ma anche le leggende: come quella della Pietra dell’Anello, enigmatico scoglio di tufo che si erge in modo anomalo nei pressi della strada per Grotte di Santo Stefano lasciando stupefatti e che gli antichi pare considerassero il nascondiglio della famigerata “chioccia dalle uova d’oro”…
Poi l’arte, dicevamo, dalla street art dei murales di Sant’Angelo, che rievocano il mondo delle fiabe, alla contemporaneità delle opere di Castellani, racchiuse del Castello Orsini di Celleno (ove riposa anche il feretro del loro autore), o, ultima ma non ultima, alla raffinatezza del Castello Costaguti a Roccalvecce.
Infine la natura: qui i torrenti facenti capo al vasto bacino idrografico del Tevere, hanno creato un intrico di forre che regalano numerose cascate, come quella – famosa in teoria ma ancora sconosciuta nella pratica – dell’Infernaccio, in direzione di Grotte. E poi le sorgenti, i boschi di querce o più semplicemente lo splendore di cerri secolari isolati nei pascoli o la vivida semplicità delle innumerevoli fioriture di campo.
A ben vedere, malgrado l’arrivo improvviso di turisti, il potenziale ricettivo è ancora allo stato primordiale: a Sant’Angelo c’è una sola trattoria (sempre piena – meglio prenotare) e un paio di bar, a Celleno Vecchio troviamo un unico grazioso bar che offre ristoro e piacevoli aperitivi, mentre a Roccalvecce, oltre al castello ben gestito dal giovane proprietario, il marchese Giovangiorgio Afan de Rivera, i visitatori non possono usufruire di alcuna attività commerciale. A vedere il trend, è probabile che tali lacune verranno presto colmate e che tutti e tre i borghi inizieranno a vivere una relativa rinascita economica dopo molti decenni di oblio.
Un modo con cui consigliamo di approcciarsi a questa valle e senza dubbio quello escursionistico: un’ottima segnaletica collega i tre paesi che è possibile raggiungere a piedi anche nell’arco della stessa giornata con partenza da Celleno Vecchia o da Sant’Angelo e con Roccalvecce come tappa intermedia.
La breve traversata da Celleno a Roccalvecce è assolutamente da non perdere, in particolare in aprile-maggio per la bellezza della campagna in quel periodo, ma si riesce a percorrere anche in autunno o in inverno con poche ore a disposizione.
Tuttavia, al di là di tali pur utili considerazioni sulle “tempistiche”, il nostro reale auspicio è che ci si possa concedere un vero e proprio soggiorno almeno di un fine settimana per assaporare con “lentezza” i rilassanti sentieri e le atmosfere “sospese” della valle. Per informazioni dettagliate su come “costruirsi” itinerari nella Teverina Viterbese si consiglia la nostra guida “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito – vol. 1”.
24 febbraio 2021 at 22:02
…… “A ben vedere, malgrado l’arrivo improvviso di turisti, il potenziale ricettivo è ancora allo stato primordiale: a Sant’Angelo c’è una sola trattoria (sempre piena) e un paio di bar”
Non è corretto quello che è scritto a Sant’Angelo sono presenti :
un ristorante, un bar, un forno, un alimentari che fa Street food e il negozio di souvenir artigianali di cui sono proprietaria, ci sono poi anche 3 b&b, tra cui il Wanderlust B&B che ha nello scorso anno proprio grazie al turismo italiano o di vicinato ha concluso un’ottima stagione estiva.
25 febbraio 2021 at 07:22
Parlavo nel complesso della zona, non solo di Sant’Angelo. Inoltre con “ricettività” intendo mangiare&dormire. Sant’Angelo è più sviluppato ma a Roccalvecce non c’è quasi nulla (soltanto il castello, come scritto) mentre a Celleno il minimo indispensabile. İl senso di quel passaggio – che non è affatto una critica ma contiene un auspicio – è che si può fare di più in prospettiva e sicuramente accadrà. Credo si capisca bene nel complesso dell’articolo. Grazie del commento e siamo disponibili a collaborare!