Il “Sacro Bosco” di Bomarzo

   Il “Sacro Bosco”, meglio noto come “Parco dei Mostri”, rappresenta senza dubbio uno dei siti d’interesse artistico più singolari ed emozionanti d’Italia. Nato nel 1552 per volere di un personaggio stravagante del Cinquecento italiano quale Pier Francesco “Vicino” Orsini, e su progetto del famoso architetto ed antiquario napoletano Pirro Ligorio, il Sacro Bosco sorge in una solitaria valletta tufacea ai piedi di Bomarzo, piccolo borgo medievale della Tuscia Viterbese (vedi anche “La Piramide di Bomarzo” e “Borghi e paesaggi segreti della Tuscia-parte 2: da Viterbo a Sermugnano“).

Veduta di Bomarzo

   Giacciono nel parco statue e costruzioni scolpite in blocchi litici talvolta enormi, avvolte armoniosamente dalla vegetazione e da un’atmosfera estremamente romantica e suggestiva: un elefante da guerra, un drago, una tartaruga enorme, un gigante che squarcia il suo rivale, un orco dalle fauci aperte, una casa pendente e altre immagini stravaganti, rese ancor più pittoresche dal lavorio del tempo che ne ha arricchito le sfumature e le colorazioni. Un luogo, questo, assolutamente unico al mondo (paragonabile, ma soltanto in parte, alla settecentesca Villa Palagonía di Bagheria, in Sicilia) e tuttavia rimasto nell’oblio per circa quattro secoli, nel corso dei quali leggende del volgo lo popolarono di elfi, spettri e creature demoniache. Dopo la morte del “Vicino”, infatti, il parco cadde ben presto in uno stato di totale abbandono che perdurò fino alla prima metà del Novecento, quando la curiosità di artisti italiani e stranieri (come ad esempio il pittore olandese Carel Willink o il grande maestro surrealista Salvador Dalì) ne permise la riscoperta e ne favorì di conseguenza il recupero, avvenuto grazie all’impegno di Giovanni Bettini e della sua famiglia (peraltro proprietaria attuale del complesso). Il “Parco dei Mostri” iniziò così a richiamare l’attenzione di intellettuali e studiosi anche di fama internazionale (come ad esempio lo scrittore argentino Manuel Mújica Laínez, che ne trasse ispirazione per il suo romanzo “Bomarzo”) nonché di un numero sempre crescente di turisti.

Casa Pendente

   A prima vista l’estetica di questo luogo, ricco di citazioni classiche, pare conformarsi alla moda del grottesco, del mitico e del fantastico diffusasi in Italia durante il tardo Rinascimento (seconda metà del XVI sec.), e che caratterizzò ville, palazzi e ninfei dell’epoca, concepiti in forme tali da stupire e divertire il visitatore (si pensi ai fasti di Villa d’Este a Tivoli, di Villa Farnese a Caprarola e di Villa Lante a Bagnaia). Del resto su una lapide del parco si legge: «Voi che pel mondo gite errando, vaghi / di veder maraviglie alte et stupende, / venite qua, dove son faccie horrende / elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi». Tuttavia la straordinarietà del Parco di Bomarzo, con le sue “mostruose” figure e le sue bizzarre creazioni, abbinate ognuna a frasi e a pensieri di chiara impronta ermetica incisi sulla pietra, ha stimolato tra gli osservatori svariate ipotesi sulle ragioni del suo concepimento da parte dell’Orsini. E sicuramente tra le più affascinanti v’è quella secondo cui la “Villa delle Meraviglie” (come venne anche chiamato il Sacro Bosco dai suoi ideatori) costituirebbe un vero e proprio viaggio esoterico ed iniziatico, al quale soltanto i convenuti “illuminati” o i visitatori ben disposti nello spirito sarebbero invitati a prendere parte. Nel libro “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito” proponiamo una nostra personale interpretazione di questo percorso occulto.

L'Orco

   Al di là dell’aspetto misteriosofico, rimane comunque piuttosto curioso il fatto che un uomo d’arme come Vicino Orsini abbia di punto in bianco abbandonato il mestiere del soldato per una vita riservata e contemplativa. Si pensa che ciò avvenne a causa dell’improvvisa morte della moglie Giulia Farnese di modo che l’intero significato dell’opera sarebbe da ricondurre al tema dell’amore («Sol per sfogar il core», come si legge su una lapide del misterioso teatro neo-romano situato poco prima della Casa Pendente). Allo stesso tempo però, la rilettura recente di documenti dell’epoca da parte di alcuni studiosi ha fatto pensare anche ad un episodio ben preciso che forse scatenò questo desiderio di isolamento e ripiegamento interiore. Nel 1557 Vicino Orsini partecipò alla distruzione di Montefortino (l’odierna Artena), sui Monti Lepini, e al massacro della sua intera popolazione, sotto il diretto ordine di papa Paolo IV, il quale voleva punire la cittadina del suo tradimento in favore degli Aragonesi, nell’ambito della guerra fra Papato e Regno di Napoli (al tempo governato dagli Spagnoli) del 1556-57. Tale orrore lo avrebbe convinto ad abbandonare la carriera militare.

Artena-Veduta

   Saranno andate davvero così le cose? Non ne abbiamo la certezza. Ma di sicuro c’è che appare alquanto strano che un signore il quale da più di dieci anni esercitava l’arte della guerra, traendone profitti ed onori, ma anche indurendo il cuore e rendendo gretto l’animo, quasi d’improvviso si rendesse ispiratore di un’opera così profonda, sensibile ed evocativa come il Sacro Bosco. Tutto ciò rimane e rimarrà un mistero che il Vicino si è portato nella tomba. Quel che a noi rimane è tentare di carpire i messaggi nascosti dietro le pittoresche sculture di questo incredibile giardino oppure lasciarsi semplicemente incantare, come fanciulli, da un luogo che pare appartenere più ai sogni e alla fantasia che alla realtà.


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