Una visione d’inizio-inverno della Valle del Farfa dalla Via Mirtense. Questa strada – a tratti assai panoramica – collega la zona dell’Abbazia di Farfa alla Statale Salaria attraverso un itinerario di estremo fascino, che tocca borghi medievali, antichi casali e siti archeologici. Da qui è possibile anche scendere alle Gole del Farfa, che uniscono testimonianze storiche e natura selvaggia.
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All’alba fra le colline di Proceno
Affacciata sulla Valle del Paglia presso il confine con la Toscana, e fondata secondo la leggenda dal re etrusco Porsenna, Proceno incanta sin da lontano il viaggiatore con il suo fiabesco profilo dominato dal Castello Cecchini, una delle dimore storiche meglio conservate della Tuscia. Il borgo presenta diversi spunti artistici interessanti ma qui è soprattutto l’intatto paesaggio ad essere il protagonista: le colline che circondano Proceno sono infatti magnifiche e del tutto simili a quelle contigue, ma ben più blasonate, della Bassa Toscana. Qui presentiamo una carrellata di immagini che testimoniano la bellezza di questo pregiato territorio rurale, ben curato e ricco di eleganti agriturismi. A causa della particolare sua esposizione, si consiglia di visitare e fotografare questo paesaggio al mattino presto, meglio ancora se poco dopo l’alba come abbiamo fatto noi in una fredda mattinata di novembre. I percorsi che vi suggeriamo sono due, entrambi fattibili con qualsiasi mezzo ma possibilmente a piedi avendone il tempo. Il punto di snodo è il cimitero del paese: o si va a sinistra sulla Procenese, toccando una pieve, alcuni bei casali ed entrando presto in Toscana e, oppure si va a destra su una lunga strada asfaltata che attraversa una buona parte dell’area occidentale del “Lazio toscano” (come è stato definito dalla guida rossa del T.C.I.); l’asfalto termina ad un solitario bivio, da cui, parcheggiando, si possono fare riposanti e panoramiche passeggiate su tranquille strade sterrate in qualsiasi direzione, immersi in uno scenario assai suggestivo.
Aprile nella Valle del Farfa
La Valle del Farfa è il lembo più meridionale della Sabina Tiberina, cerniera fra la Sabina Romana e quella Reatina, ed offre un esempio eloquente di “paesaggio-giardino”. Siliquastri e ciliegi competono nel chiazzare rispettivamente di fucsia e bianco le colline, mentre i campi iniziano a punteggiarsi di fioriture spontanee. L’insediamento sparso già di origine mezzadrile tipico della vallata è stato negli ultimi decenni intensificato da uno sviluppo edilizio moderno da parte di italiani e stranieri attratti dalla quiete e dalla bellezza della campagna sabina. Tranne rare eccezioni, per lo più nelle aree periferiche dei paesi, ciò non ha provocato danni enormi al paesaggio e la riconversione “residenziale” degli stessi casali, in molti casi trasformati sostanzialmente in ville, ha promosso una trasformazione tutto sommato interessante di questo paesaggio agrario-culturale, avvenuta tramite la sostituzione dei terreni a pascolo o a seminativo con frutteti ed uliveti o con più o meno vasti giardini privati. Non sono tuttavia scomparsi i prati e i campi di grano, verdissimi ad aprile, che variano ed equilibrano questo scenario per lo più arboreo. Tutt’intorno regnano le vaste leccete dei Monti Sabini, secondo uno schema “classico” nelle aree preappenniniche dell’Italia Centrale. Si consiglia di partire da Poggio Mirteto, toccando piccoli paesi di grande fascino come Bocchignano e Castelnuovo (che ospita un bel Museo dell’olio), oltre ovviamente all’antica e splendida Abbazia di Farfa, affiancata dal suo suggestivo borgo rurale. Altre “chicche” sono i panorami da Castel San Pietro (la cui veduta fu il soggetto dell’unico dipinto paesaggistico del Caravaggio), Montopoli, Mompeo e Salisano, nonché le gole del Farfa fra mulini, ponticelli e pievi, ed infine, in direzione della Salaria, i pittoreschi centri di Toffia e Frasso Sabino. Lungo tutto il tragitto sono numerosi agriturismi, ristoranti e trattorie di campagna. Un ringraziamento all’amico, grande fotografo della Sabina, Filippo Simonetti per avermi fatto da guida attraverso lo splendido paesaggio della Valle del Farfa.
LB
All’inizio della primavera sulla Strada dei vini e dei sapori della Teverina Viterbese
Anche se l’exploit dei vigneti (che ad ottobre si tingono di arancio e rubino) è ancora lontano, nel periodo primaverile è comunque assai piacevole percorrere la cosiddetta “Strada del Vino e dei Sapori della Teverina Viterbese”, che, snodandosi lungo la Valle del Tevere, collega la zona di Bomarzo a quella di Castiglione e ad Orvieto. La strada, che in parte ricalca il tracciato della SP Teverina (ossia il suo tratto pianeggiante), offre un piacevole e rilassante paesaggio agreste, prima prevalentemente a pascolo e seminativo, poi caratterizzato da estesi vigneti. Interessanti le varie deviazioni possibili che, al di là della celebre Bomarzo, portano a conoscere numerosi altri borghi di un certo interesse (Mugnano, Montecalvello, Roccalvecce, Civitella d’Agliano, Sermugnano, ecc.) e soprattutto paesaggi straordinari, come la Valle dei Calanchi che si può raggiungere deviando per Vaiano all’altezza della località Pian della Breccia (Civitella d’Agliano), per terminare infine ad Orvieto passando per le magnifiche colline di Tordimonte.
Attraverso l’Agro di Vejo lungo la “Strada dei Parchi”
Dopo la strada fra Sant’Oreste e Ponzano Romano, torniamo sulle colline immediatamente a nord della Capitale per scoprire un altro itinerario di grande fascino. Tramite la Via Cassia Bis in pochi minuti si giunge a Campagnano Romano, uno dei paesi più sottovalutati della Provincia di Roma benché colmo di interesse architettonico. Da qui ci si inoltra lungo SP 14/a nella porzione più meridionale dell’Agro Falisco, tutelata dal Parco Regionale di Veio: siamo su una delle cosiddette “Strade dei Parchi” e dopo pochi chilometri il nastro d’asfalto inizia a correre solitario e tranquillo in aperta campagna, fra boschi e coltivi ed aperture panoramiche sempre più ampie. Arrivati a un bivio si può proseguire verso Morlupo e la Flaminia attraverso il “cuore” dell’area protetta; noi però continuiamo per Magliano Romano sulla SP 18/b fino a sbucare sulla strada che collega Calcata e Flaminia, ormai in Provincia di Viterbo. In ogni caso si può godere uno dei paesaggi più suggestivi del Lazio, che ha mantenute quasi inalterate le caratteristiche della Campagna Romana decantata dai viaggiatori del Grand Tour: vasti e ininterrotti spazi “orizzontali” la cui apparente “immobilità” è rotta soltanto da greggi di ovini e da bovini dalle grandi corna. Il fotografo o il semplice viaggiatore potrà quindi avvalersi di un ambiente assai poco trafficato in uno scenario “alla Corot”, davvero per intenditori, tanto bello quanto tuttora pressoché sconosciuto nonostante il prestigio artistico di cui godette fra Sette e Ottocento.
Fra Sant’Oreste e Ponzano: paesaggi bucolici e sorprendenti a mezzora da Roma
A poche decine di chilometri a nord di Roma, sulle colline occidentali della Valle del Tevere, è possibile percorrere una delle più belle strade del Lazio in virtù della campagna che si attraversa e dei panorami che vi si godono. Si parte da Sant’Oreste, raggiungibile dalla SS Flaminia o dall’A1, e si imbocca la SP 21a, proseguendo poi per la SP 19a e infine sulla SP 20a/b. Diverse svolte permettono di visitare Fiano Romano, Civitella San Paolo, Nazzano con la sua splendida riserva naturale, Filacciano e Ponzano Romano. Il dolce paesaggio, con le grandi querce, i pascoli e i campi arati, ricorda e preannuncia quello umbro-sabino, che già si intravede sullo sfondo. Protagonisti assoluti sono il mitico e misterioso Monte Soratte (per saperne di più: “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”) e, se si seguono le deviazioni citate, il “Biondo Fiume” che da queste parti crea una valle magnifica, simboleggiata dal “fiasco”, la straordinaria ansa fluviale visibile da Ponzano. Qui di seguito una serie di immagini scattate in autunno lungo questo itinerario automobilistico di grande interesse artistico e fotografico, oltre che culturale e ambientale: un’area finora assurdamente sottovalutata dalle istituzioni ma dal notevole potenziale turistico.
Borghi e paesaggi “segreti” della Ciociaria (parte 2: da Frosinone ad Aquino)
Dopo la prima parte dedicata alla porzione settentrionale della Provincia di Frosinone, andremo ora ad attraversare il cuore del sistema collinare ciociaro, un territorio per lo più sconosciuto al resto della regione e – fatte poche eccezioni – ancora totalmente estraneo a qualsiasi flusso turistico, anche di nicchia, e ciò nonostante la presenza di piccoli gioielli storico-artistici ed urbanistici. Lo stesso paesaggio agrario, pur aggredito da una proliferazione edilizia spesso disordinata e di infimo livello, conserva nel complesso un’atmosfera amena e piacevole: gli uliveti, le piccole vigne, i pascoli e i campi di grano, i muretti a secco, le stradine bianche e le siepi, la miriade di case e villaggi sparsi sui crinali, sono tutti elementi che formano la più rappresentativa immagine del paesaggio ciociaro attuale.
I tanti borghi, arroccati come presepi sulle cime di scoscesi colli, si presentano colmi di interesse e, seppure talvolta in via di forte spopolamento, mantengono la semplicità della “vita di paese” di un tempo. Anche i prodotti agricoli della zona meriterebbero una reale valorizzazione, ma da questo punto di vista c’è ancora molto da fare: vale la pena comunque curiosare nelle piccole alimentari, alla ricerca di insaccati e carni (in particolare mortadella e porchetta), olio, vini, formaggi e pane locali di ottima qualità.
Da Frosinone ci si dirige verso Arnara con la Via Variante Casilina, che presto scorre fra i campi lasciandosi alle spalle il trafficato capoluogo. Man mano che ci avviciniamo spicca sempre più il caratteristico profilo merlato della torre-serbatoio (costruita in stile “medievaleggiante”) che affianca la rocca, la cui struttura originaria, appartenuta ai Conti di Ceccano e ai Colonna, è ormai quasi del tutto in rovina.
Arrivati, ecco una sorpresa: il tufo rossastro di alcune case e dello stesso maniero tradisce la presenza di un antichissimo apparato vulcanico e rende questo borgo curiosamente simile a quelli della Tuscia. Camminando per il borgo si nota purtroppo come esso sia ormai molto disabitato: peccato, perché meriterebbe una maggiore considerazione, ricco com’è di vicoli suggestivi e di ampie vedute su un dolce paesaggio fra i più intatti della provincia.
Da Arnara si va a Pofi per una tranquilla stradina campestre. Il paese, noto per la produzione di fiori e per il ritrovamento nei suoi paraggi dei resti ben conservati di un uomo preistorico (battezzato “uomo di Pofi” o “uomo di Ceprano”, il più antico uomo fossile italiano), appare disteso elegantemente su un colle e dominato da un possente palazzo-castello appartenuto ai Colonna.
Come ad Arnara, la pietra degli edifici di Pofi è d’origine ignea (seppure qui di colore scuro), ciò che distingue entrambi i paesi dagli altri centri storici ciociari, in cui prevale largamente il calcare. Anche qui troviamo pochi abitanti e poche attività commerciali e ricettive, ma possiamo godere scorci architettonici interessanti e bei panorami sulla campagna circostante. A pochi passi dal paese è inoltre la pittoresca Chiesa di Sant’Antonino, in stile romanico.
Dopo Pofi ci si sposta nettamente verso Est in vista degli Appennini, lungo una strada che, oltrepassata Ripi, si snoda tra assolati uliveti ed verdi colline.
Si raggiunge così Boville Ernica, che svetta circondata di mura medievali in cima ad un aspro ed irto monticello, dal quale la vista spazia a 360° su buona parte della Ciociaria.
Si parcheggia nei pressi di un vecchio fontanile e ci si avvicina al belvedere: davvero stupendo lo sguardo sulla grande vallata che si allarga ad Ovest con lo sfondo dell’anti-appennino laziale, con il suo “mare” di colli coltivati e punteggiati da case e piccoli villaggi contadini.
Varcata una delle porte fortificate del borgo, uno dei più graziosi della Ciociaria, si entra in un ambiente urbano variegato come stili e ristrutturazioni, che recentemente sta usufruendo di un generale recupero, anche grazie al suo inserimento nel club dei “Borghi più belli d’Italia”: riconoscimento, quest’ultimo, di cui ha beneficiato pure la vicina Monte San Giovanni Campano, prossima tappa del nostro itinerario.
Il paese è legato alle memorie di San Tommaso d’Aquino che ivi venne rinchiuso nel castello dai suoi stessi genitori, i quali – com’è noto – non accettavano la sua vocazione sacerdotale.
Si tratta di un centro storico di elevato pregio architettonico, con molte case ben restaurate: splendidi gli scorci panoramici, simili a quelli di Boville, sulle vallette d’intorno. Da Monte San Giovanni Campano (è possibile anche passare per Isola Liri con la sua celebre cascata) si continua per Arpino, bella cittadina d’arte insignita della “bandiera arancione” del Touring Club Italiano, che fu patria di svariati personaggi storici fra cui Marco Tullio Cicerone.
La nostra meta è però la piccola frazione della Civita Vecchia, uno dei borghi più spettacolari del Lazio a livello urbanistico per il fatto di essere cinto per intero da mura poligonali d’epoca pre-romana assai ben conservate, il tutto immerso in un dolce paesaggio rurale che dà risalto alla poderosa cortina “megalitica”, su cui si innalza la cosiddetta “Torre di Cicerone”.
Dalle mura si apre uno straordinario arco “a sesto acuto”, che per la sua perfezione architettonica e formale rappresenta uno dei più importanti monumenti della nostra regione e non solo.
La passeggiata nel borgo, piuttosto curato e in via di recupero, è forse l’”apice emozionale” di tutto il nostro itinerario: al viaggiatore sensibile non sfugge il senso “sacrale” di questo luogo, che fu l’antichissimo nucleo originario, fondato dai Volsci, della romana Arpinum.
Magnifici ed amplissimi sono i panorami sulle colline e le montagne ciociare, con tramonti che regalano immagini indimenticabili e con una veduta a volo d’uccello della stessa Arpino con il suo uniforme amalgama di tetti in coppi, una delle più eccezionali “cartoline” della Ciociaria. Unica nota stonata lo sviluppo edilizio deturpante ai piedi della città, che rischia di compromettere la delicata armonia fra edificato e ambiente naturale.
Visitata la Civita Vecchia, che da sola vale il viaggio, si continua verso sud attraverso una strada interna piena di curve che tocca numerose minuscole frazioni rurali spesso nemmeno segnate sulle cartine. Si passa poi ai piedi di Fontana Liri Superiore, Arce (da vedere la Chiesa di San Pietro e Paolo) e Rocca d’Arce (eccezionale punto panoramico). Infine si sbuca nella Piana del Melfa ove, oltrepassata l’autostrada, si raggiunge Aquino, la romana Aquinum, che, malgrado l’iniziale impatto anonimo della parte moderna, regala inaspettatamente un delizioso borgo medievale dominato da una torre duecentesca, oggi risistemata e aperta al pubblico.
In una piazzetta si eleva il bel palazzetto in cui probabilmente visse il giovane San Tommaso (detta appunto “Casa di San Tommaso”). Di grande interesse sono inoltre l’area archeologica ai piedi del paese, purtroppo disturbata dal viadotto autostradale, e la poco discosta Chiesa della Madonna della Libera, di forme romaniche ed ornata da cipressi, che incanta il visitatore dall’alto di una scalinata; sul suo sagrato e sulle sue sue pareti si vedono numerosi simboli riconducibili ai Templari.
Ad Aquino ha termine la seconda parte del nostro percorso turistico-automobilistico alla scoperta della “Ciociaria segreta”, la cui terza parte prenderà le mosse dalla vicina Roccasecca, dall’altra parte dell’A1.
APPUNTI DI VIAGGIO
Tempo stimato:
2-3 giorni
Periodo migliore:
ottobre-novembre-dicembre e aprile-maggio-giugno per i colori della campagna
Borghi e paesaggi “segreti” della Ciociaria (parte 1: da Serrone a Fumone)
L’itinerario, interamente in Provincia di Frosinone, parte da Serrone, raggiungibile dalla Capitale tramite la Via Prenestina, attraverso un paesaggio che nonostante l’urbanizzazione conserva lembi di grande fascino, e, nell’ultimo tratto, aspetti di spiccata rusticità.
Siamo proprio al confine con la Provincia di Roma, in un territorio, ai piedi dei Monti Prenestini, da sempre vocato all’agricoltura: qui crescono le uve del Cesanese, antico vino rosso apprezzato da papi e imperatori di ogni epoca.
Il Cesanese – dopo una fase di declino durata qualche decennio (almeno fino ai primi anni ’90 del secolo scorso) coincisa con un più generale (e mai compreso) ridimensionamento d’immagine della produzione agricola laziale – negli ultimi tempi, grazie soprattutto ai produttori dell’areale fra Piglio, Paliano, Anagni e Serrone, ha riacquistato un notevole prestigio, ottenendo il riconoscimento docg (d’origine controllata e garantita) e posizionandosi così nel “gotha” dell’enologia italiana; e trovandoci nel Lazio, non potevano mancare i bianchi, fra i quali spadroneggia un vino assai apprezzato dai locali e dal nome curioso e ammiccante, la “Passerina” igt.
Circondato da numerosi altri borghi posti sulle alture (i Prenestini costituiscono un interessante esempio di “paesaggio dell’incastellamento”), Serrone appare al viaggiatore tutto arroccato sulle brulle pendici del Monte Scalambra: assolutamente piacevole una passeggiata fra i vicoli del borgo medievale, che nel periodo natalizio ospita un caratteristico presepe con statue a grandezza naturale vestite con i panni tradizionali; da visitare la Chiesa di San Pietro Apostolo (con affreschi cinquecenteschi di scuola umbra) e, poco fuori dal paese, l’Eremo di San Michele Arcangelo, ricavato da una rupe e affacciato su un panorama ampio e bellissimo.
Subito dopo Serrone ci accoglie Piglio, centro ormai ben noto per essere la “capitale” del pregiato Cesanese docg e dove sono degni d’attenzione i due castelli (“alto” e “basso”) e il Palazzo Massimi sede di una delle più importanti aziende di produzione viticola della zona.
Da Piglio (o meglio “dal Piglio”, secondo l’usanza dei suoi abitanti di premettere l’articolo “il” di fronte al nome del paese) si prosegue per Acuto prima per una stradina fra vigne e ulivi e poi lungo la Via Anticolana: più in alto corrono, parallele, la panoramica provinciale fra Piglio ed Acuto e l’ex-ferrovia per Fiuggi da qualche anno riadattata a pista ciclabile, servizio che sta riscuotendo successo fra locali e turisti.
La nostra strada invece si snoda un po’ incassata ma basta fermarsi ad uno dei vari slarghi per godere uno dei paesaggi agrari più belli della Ciociaria, formato dall’armonico alternarsi fra oliveti (ottimo il locale olio Rosciola) e vigneti con lo sfondo degli ampi pascoli della Valle del Sacco e dei verdi Monti Lepini. Acuto, paesino dall’aspetto povero ma dignitoso dove fa tappa la suddetta pista ciclabile, offre uno dei più completi panorami sulla zona e tramonti infiammati e indimenticabili.
Da qui, passando per Fiuggi, celebre città termale, si prosegue per la SR 155-Anticolana ai piedi dei piccoli borghi di Trivigliano e Torre Cajetani dai quali si ammirano i Monti Ernici e la stupenda piana coltivata del Lago di Canterno, bacino dalla forma continuamente variabile (per saperne di più si veda la nostra guida “Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”).
Si raggiunge poi un incrocio circondato da case, riconoscibile per un piccolo impianto fotovoltaico a terra. Una breve deviazione sulla sinistra conduce a Guarcino, paesino in parte medievale posto in un angolo appartato, tra foreste di querce e faggi: deliziosi i dolcetti locali come ad esempio i “brutti ma buoni” o gli “amaretti” qui ritrovabili ancora in produzione artigianale. Poco a monte dell’abitato è il Convento di San Luca, restaurato grazie al contributo del filosofo-inventore Marcello Creti.
Guarcino è molto frequentata d’inverno per le sovrastanti piste da sci di Campo Catino, vasto altopiano appenninico che costituisce un ottimo punto di partenza per escursioni alle quote più alte del massiccio ernico. Si torna al suddetto crocicchio e si prende per Vico nel Lazio che si raggiunge tramite una strada che sale fra ulivi terrazzati. Il paese è una splendida sorpresa per il viaggiatore alla ricerca di luoghi sconosciuti ma allo stesso tempo bellissimi. Si tratta infatti di uno dei borghi più integri e caratteristici della Ciociaria e non solo, rimasto interamente circondato da mura medievali, dalle quali si innalzano numerose torri quadrangolari merlate alla guelfa. Le case in pietra, i vicoli e le piazzette culminano nel duecentesco Palazzo del Governatore con le sue bifore.
Si prosegue ora per Collepardo, su una strada di grande suggestione paesaggistica su cui incombono sempre più vicine ed imponenti le cime della Monna e della Rotonaria. Si tocca l’ingresso sulla sinistra del Pozzo d’Antullo, straordinaria voragine carsica fra le più grandi e profonde d’Europa, e si giunge poi a Collepardo, uno degli abitati più solitari dei Monti Ernici, splendido luogo di villeggiatura fresco e solatio al tempo stesso per via della particolare posizione. Il borgo è di quelli classici della Ciociaria in cui si respira un’atmosfera di vita antica, di tradizioni umili, di modestia e semplicità. Purtroppo tutto ciò è sempre più un ricordo del passato visto che lo spopolamento sta svuotando questi paesi, anche perché le istituzioni non sono riuscite a valorizzare e i mestieri e le produzioni locali né a sviluppare un flusso turistico non episodico in una zona viceversa ricca di potenzialità e motivi d’attrazione: in primis l’ambiente naturale intatto e selvaggio che racchiude gioielli paesistici unici nel proprio genere come, oltre al già citato Pozzo d’Antullo, la Grotta dei Bambocci (descritta nell’Ottocento anche dal Gregorovius nel suo “Passeggiate romane“), i limpidi torrenti che scendono dalle severe valli appenniniche, e, non ultime, le vestigia storiche ed archeologiche di cui recenti ricerche hanno rivelato la particolarità, tant’è che si parla di dolmen e menhir di origine enigmatica (forse ernica) sperduti nelle foreste.
Celebre, dal canto suo, è la vicina Certosa di Trisulti, luogo pregno di spiritualità, misticismo e mistero (molti i simboli templari e addirittura riconducibili alla Massoneria), circondata da monasteri abbandonati ed eremi scavati nella roccia (“Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”): la si raggiunge tramite una magnifica strada che risale boschi di conifere, cerri e faggi e che continua sino allo splendido altopiano carsico del Prato di Campoli (o a Veroli) donando alcuni dei paesaggi montani e dei panorami più belli dell’intero Lazio; incomparabile la veduta della certosa dal diruto Convento di San Nicola, vera e propria “cartolina” della Ciociaria.
Tornati a Collepardo però il nostro itinerario ridiscende a valle. Ci si riconnette alla SS155 all’altezza di Alatri, cittadina d’arte nota per la sua superba cinta muraria in opera “poligonale” (o “megalitica”), vero capolavoro di architettura pre-romana (“Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”), simbolo dell’antichissimo popolo ernico.
Si prende ora per Fumone, altra tappa che merita una sosta non fugace (“Lazio. I luoghi del mistero e dell’insolito”). E’ un borgo medievale rimasto come fermo nel tempo, con case interamente in pietra abbellite da bifore, giardini pensili e pergolati, e colmo di belle vedute panoramiche. E’ senza dubbio uno dei centri storici più curati della Provincia di Frosinone, eppure è assurdamente deturpato da una grande antenna posta proprio affianco alle mura, con grave danno non solo per il paesaggio ma anche per la salute dei suoi abitanti.
Ciò nonostante la visita al paese è d’obbligo e negli ultimi anni esso sta ricevendo un’attenzione sempre maggiore da parte dei turisti soprattutto per via della presenza del Castello Longhi-De Paolis, lugubre maniero a lungo assurto alla funzione di prigione pontificia, che custodisce memorie, segreti e leggende, dalla morte del papa Celestino V alla tragica e macabra storia del Marchesino.
Ma è in generale l’atmosfera “sospesa” dei vicoli e delle piazzette ad affascinare il visitatore, così come il silenzio che pare avvolgere tutto. Siamo ora giunti alla fine di questo nostro coinvolgente itinerario. Da Fumone si può giungere facilmente a Frosinone, dove inizia la seconda parte del nostro viaggio alla scoperta della Ciociara più sconosciuta.
APPUNTI DI VIAGGIO
Tempo stimato:
3-4 giorni
Periodo migliore:
ottobre-novembre-dicembre e aprile-maggio-giugno per i colori della campagna
Borghi e paesaggi “segreti” della Tuscia (parte 3: da Bolsena a Centeno, con ritorno in Maremma)
Alla fine della seconda parte dell’itinerario alla scoperta dei borghi e dei paesaggi segreti della Tuscia ci trovavamo a Sermugnano, villaggio sospeso fra le romantiche campagne al confine fra Lazio ed Umbria. La terza ed ultima parte di questo emozionante itinerario parte da Bolsena, sulla Via Cassia: da Sermugnano si torna indietro per Lubriano e poi in direzione di Bolsena, attraversando uno dei paesaggi più particolari dell’Italia Centrale, fra ampie e ondulate praterie e antichi casali in pietra vulcanica costruiti spesso su siti etruschi.
Nell’ultimo tratto appare improvvisamente il grande Lago di Bolsena, il cui stupendo scenario è stato purtroppo recentemente deturpato dalla delirante installazione, sul versante opposto, di numerose, gigantesche pale eoliche, a riprova di come siano ormai del tutto assenti le politiche di tutela del nostro patrimonio ambientale e culturale.
Ad ogni modo, soprassedendo questo ennesimo esempio dell’attuale degrado civile italiano e dell’ignoranza delle nostre amministrazioni, ci concentriamo su quanto di bello ci sia ancora sul lago che fu sacro agli Etruschi e che vanta fra l’altro il primato di essere il più grande bacino vulcanico d’Europa.
Bolsena, città dei “miracoli di Santa Cristina”, non è certamente un “borgo segreto” e merita di certo una visita attenta, e per la sua particolare suggestione invita ad una passeggiata anche chi già lo conosce. Tutto il paese, dominato dalla Rocca Monaldeschi della Cervara, è molto grazioso (negozi e botteghe, trattorie e ristoranti, bar ed enoteche, case ben ristrutturate, ecc…) e tenuto in modo quasi impeccabile ma il borgo medievale alto, con le sue case in pietra ingentilite da fiori e stendardi, è davvero pittoresco.
Dopo Bolsena si prosegue verso nord incrociando più volte il tracciato della medievale Via Francigena, frequentata un tempo da commercianti, pellegrini, soldati e avventurieri da Canterbury a Roma, e oggi da turisti-escursionisti di ogni parte del mondo. Immersi in una verde campagna e oltrepassato il “borgo ideale” di San Lorenzo Nuovo, si arriva (poco dopo un demenziale impianto fotovoltaico a terra proprio sulla Via Francigena!) alle prime case di Acquapendente, importante tappa del cammino romeo, dove si devia a destra verso Torre Alfina attraversando la porzione laziale dell’omonimo verde altopiano (Piano dell’Alfina) in condominio fra le province di Viterbo e Terni, in un paesaggio bellissimo di prati e boschi.
Si tratta di un borgo dall’aspetto fiabesco per via di un maestoso castello rimaneggiato nell’Ottocento secondo il gusto romantico dell’eccentrico Conte Cohen-Tomei, il quale nel sottostante Bosco del Sasseto si fece costruire una tomba in stile neogotico.
Nei pressi è la Riserva Naturale del Monte Rufeno, un’importante area boschiva in cui poter percorrere rilassanti sentieri. Purtroppo nel 2017 è venuto a mancare il sig. Alessandro Fani, uno degli ultimi carbonai d’Italia, che era solito concedere una visita guidata alla scoperta di quest’antico mestiere ormai scomparso: lo ricordiamo con immensa stima ed affetto. Da Torre Alfina si torna ad Acquapendente e sulla Cassia, quindi si continua verso nord oltrepassando il Fiume Paglia ed entrando nel pieno del cosiddetto “Lazio Toscano”.
Tramite una deviazione sulla destra, ormai in vista delle colline del Senese, si raggiunge Trevinano, il paese più settentrionale del Lazio: disteso su una possente rupe, ospita l’elegante Castello Boncompagni-Ludovisi ed offre indimenticabili panorami sull’Amiata, la Valle del Paglia, Radicofani e le prime ondulazioni della Valdorcia.
A valle di Trevinano sono i casali di Centeno, antica dogana che costituiva il confine fra lo Stato della Chiesa e il Granducato di Toscana, e oggi punto di partenza del tratto laziale della Via Francigena per chi proviene da nord.
Centeno è frazione di Proceno, borgo dallo “skyline” già spiccatamente toscano, benché il suo monumento-simbolo, vale a dire il castello (oggi divenuto un prestigioso albergo), sia caratterizzato dalla tipica pietra tufacea rossastra della Tuscia: anche qui le vedute sulla splendida campagna circostante sono una delizia per gli occhi e per lo spirito.
Da Proceno una strada secondaria (attenzione di notte ai cinghiali e agli istrici!) che passa proprio lungo il confine tosco-laziale (in alternativa si va per Acquapendente) porta ad Onano altro paesino praticamente sconosciuto ai più fatta eccezione per gli intenditori di prodotti agricoli di pregio, in quanto patria di un’eccellente produzione di lenticchie.
Pure Onano possiede un maniero medievale, del Quattrocento, appartenuto ai Monaldeschi della Cervara. Da qui una deviazione conduce a Grotte di Castro e a Gradoli con il cinquecentesco Palazzo Farnese, sede del Museo del costume farnesiano: i due paesi hanno ottime produzioni rispettivamente di patate e fagioli.
Siamo in qui nel fulcro di quella che fu fra i secoli XVI e XVII la Signoria dei Farnese. Si continua verso mare, ora a poca distanza dalla magnifica triade delle “città del tufo” – Sovana, Sorano e Pitigliano – appena al di là del confine regionale, poi si oltrepassano Latera o Ischia di Castro (entrambi le soluzioni sono possibili e raccomandabili), Farnese (che fece da set cinematografico all’indimenticabile “Pinocchio” di Comencini) e si inizia a bordare la selvaggia e solitaria Selva del Lamone, antica terra di briganti, superando poco avanti il bivio per la “città fantasma” di Castro.
Fu questa terra di santi e briganti: una zona che sembra quasi voler attrarre scelte di vita radicali, oggi come ieri. “Regno” di Tiburzi, il celebre brigante maremmano, ma anche dei monaci di Poggio Conte, uno degli eremi più suggestivi e misteriosi del Lazio, sul Fiume Fiora, a poca distanza dal Ponte San Pietro e dalla vecchia frontiera con il Granducato di Toscana.
Siamo ormai sperduti in piena Maremma, e ai lati dei finestrini sfilano soltanto boschi e campi che riposano lo sguardo ed elevano lo spirito della persona sensibile ed intelligente: un patrimonio ambientale e culturale inestimabile, questo, che tuttavia negli ultimi anni sta subendo l’assalto ingordo ed arrogante di una speculazione energetica senza più limiti, drogata da incentivi statali altissimi (pagati con le tasche di noi ignari cittadini), che nulla ha a che fare con la tutela della natura.
E dei danni gravissimi, e forse irreparabili, che eolico industriale e fotovoltaico a terra – sviluppati praticamente a caso e senza alcuna pianificazione! – stanno arrecando al delicatissimo territorio dell’Etruria, ce ne siamo accorti più volte lungo il nostro viaggio; del resto, come si può pensare di beneficiare l’ambiente se si vanno a deturpare gli ecosistemi più intatti e preziosi? Ma lasciamo da parte per un attimo queste tristi considerazioni e da Ischia di Castro, seguendo le indicazioni per Canino e attraversando una zona solitaria e verdissima – la Valle del Timone -, giungiamo a Pianiano, minuscolo borgo (frazione di Cellere) rimasto immutato nel tempo e avvolto dal silenzio delle distese maremmane.
Anche questo villaggio, senz’altro una delle più belle sorprese del nostro itinerario, appartenne ai Farnese e, dopo la sconfitta di questa famiglia nella guerra con lo Stato Pontificio (che portò alla distruzione completa della già citata Castro nel 1649), andò ben presto svuotandosi, anche a causa del proliferare della malaria; nel Settecento il paese fu ripopolato curiosamente da una piccola colonia albanese che, proveniente da Ancona e profuga dalle persecuzioni turche, ottenne dal papa il permesso di rifugiarvisi.
Varcata la porta in tufo, Pianiano ci accoglie con le sue casette piacevolmente ornate da fiori e piante: non a caso, ai primi di giugno qui si tiene “Al di là del giardino”, una mostra-mercato florovivaistica che sta riscuotendo un certo successo.
Dopo Pianiano la discesa verso mare continua rapida, e presto appaiono le gobbette boscose dei cosiddetti “Monti di Canino”, che si innalzano dolcemente dai campi.
Poco più in là è appunto Canino, paesone noto per un’eccezionale produzione d’olio extravergine, fra le migliori d’Italia, insignita già da anni dal marchio dop.
Ce ne accorgiamo per le grandi distese di oliveti che ammantano quella che ormai è diventata quasi una pianura e che introduce alla vicinissima Vulci, luogo famoso per la storia e l’archeologia etrusca, ove spicca peraltro l’omonima suggestiva abbazia fortificata, che si erge a strapiombo sulla gola del Fiume Fiora, scavalcata dall’arditissimo Ponte del Diavolo d’epoca romana.
Da Canino una strada tutte curve porta prima a Tessennano e poi ad Arlena di Castro: si tratta di due romiti e panoramici paesi della Maremma interna, privi di spunti artistici importanti ma che, per l’ubicazione estremamente tranquilla, potrebbero entrambi svilupparsi – se ben ristrutturati e valorizzati – come “albergo diffuso” dedicato al turismo ambientale e culturale.
Tuttavia, anche qui la reale gestione da parte delle amministrazioni è molto lontana dalle vocazioni del territorio: si notano purtroppo qua e là impianti fotovoltaici a terra che compromettono l’integrità (per il resto eccezionale) del paesaggio agrario, mentre, scendendo da Arlena a Tuscania, le numerose pale eoliche spezzano brutalmente un orizzonte altrimenti “vuoto”. Fino a pochissimi anni fa, prima di tali improvvise quanto improvvide aggressioni, vagare per queste plaghe intatte e solitarie era un’esperienza che davvero faceva dimenticare, almeno per un attimo, le brutture della vita metropolitana e dell’epoca contemporanea donando un senso di libertà immensa.
Nella zona peraltro si stanno sviluppando estese coltivazioni di lavanda che in estate regalano scorci “provenzali”: iniziative coraggiose e lungimiranti in netto contrasto con l’anarchia concessa alla speculazione energetica. Continuando verso sud si giunge a Tuscania, stupenda cittadina medievale e rinascimentale, nota per le sue testimonianze etrusche, che da sola vale il viaggio (per un approfondimento dei suoi aspetti più misteriosi si faccia riferimento alla nostra guida “Lazio, i luoghi del mistero e dell’insolito”).
E’ anche possibile raggiungere in breve Tarquinia, altro scrigno architettonico e archeologico (toccando eventualmente la località Montebello, ove si trova una pinacoteca del pittore Giuseppe Cesetti), attraverso un paesaggio dolce e bucolico, punteggiato da tipici casolari in pietra, che già preannuncia quello toscano.
Da Montebello è raccomandato esplorare la Valle del Marta, che raggiunge il suo massimo pathos paesaggistico all’altezza del Castello di Pian Fasciano (a monte della diga sul Marta), zona che offre scorci “senza tempo”. Un territorio assolutamente meraviglioso, a metà strada fra due delle più belle cittadine d’arte del Lazio (Tuscania e Tarquinia, appunto).
Giunti a Tarquinia è poi ovviamente possibile tornare a Roma tramite la Via Aurelia e l’A12. Ma il nostro itinerario vuole regalare un’ultima chicca. Da Tuscania, seguendo le indicazioni per Vetralla, ci si dirige verso la consolare Cassia su una strada che procede a saliscendi nella bellissima campagna, fra prati, coltivi e boscaglie, fino trovarsi, sulla destra, i casali di Borgo Rio Secco, minuscolo insediamento rurale con annessa chiesetta moderna; da qui una polverosa sterrata fra mandrie di bovini allo stato brado conduce all’isolato ed elegante Castello di Respampani, sede di un’estesa azienda zootecnica.
Siamo in uno degli angoli più incantevoli del Lazio, apparentemente “fuori dal mondo”, in un paesaggio dagli spazi infiniti. Poco a valle della seicentesca fattoria fortificata, appartenuta all’Ospedale del Santo Spirito in Sassia, sono una diruta rocca medievale e il cosiddetto “Ponte di Fra’ Cirillo”, sul Torrente Traponzo, che la leggenda vuole costruito in una sola notte, nel 1661, al termine della sfida fra il Demonio e un frate: probabilmente però il ponte, su cui transitava la Via Clodia, ha origini anteriori al XVII secolo.
Visitato il complesso di Respampani, si torna alla Cassia o all’Aurelia e dunque a Roma, chiudendo questo lungo ed affascinante viaggio ad anello fra i borghi, le frazioni e i villaggi della Tuscia più segreta: consapevoli di conoscere meglio una terra assolutamente meravigliosa, che merita di essere esplorata ed amata.
APPUNTI DI VIAGGIO
Tempo stimato:
4-5 giorni, se ci si limita ai borghi e non si visitano le aree archeologiche e naturalistiche (altrimenti circa 10 giorni)
Periodo migliore:
ottobre-novembre-dicembre e marzo-aprile-maggio-giugno per i colori della campagna
Strutture consigliate:
Acquapendente – Agriturismo “Le Roghete”
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